L’insicurezza alimentare, l’altra faccia del benessere europeo
In un mondo che produce cibo in quantità mai viste prima, milioni di persone continuano a non poterne disporre in modo adeguato. L’insicurezza alimentare – quella condizione in cui l’accesso a un’alimentazione sana, nutriente e sufficiente non è garantito – non è solo un problema dei Paesi in via di sviluppo: riguarda da vicino anche l’Europa e l’Italia. Spesso invisibile, nascosta dietro le statistiche o nelle abitudini quotidiane di chi rinuncia alla qualità pur di arrivare a fine mese, questa forma di disagio tocca oggi migliaia di persone anche nel Vecchio Continente. Un fenomeno che continua a rappresentare una spia di disuguaglianze profonde e di fragilità economiche e sociali ancora irrisolte. Ma vediamo qualche numero.
I dati Fao
Secondo i dati Fao, nel 2024 l’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” a livello mondiale è pari al 28%, con un ampio divario tra le diverse aree del mondo (dal 58,9% dell’Africa al 6,8% del continente europeo). Il Nord-America, dopo l’Europa, è l’area geografica con i più bassi tassi dell’indicatore. In Italia nel 2024, il 5,5% degli individui mostra almeno uno degli otto segnali di insicurezza alimentare definiti dalla scala Fies (Food Insecurity Experience Scale).
L’Istat
Il segnale più diffuso, con il 4,3% di incidenza, scrive l’Istat, riguarda l’aver mangiato solo alcuni tipi di cibo, che nella scala ordinata per gravità (dal meno al più grave) si posiziona al terzo posto, seguito dall’essere preoccupato/a di non avere abbastanza cibo da mangiare (primo posto) e dal non aver potuto mangiare del cibo salutare e nutriente (secondo posto).
L’insicurezza alimentare
I segnali FIES che rilevano l’insicurezza alimentare più grave (aver avuto fame non avendo potuto mangiare e non aver mangiato per un giorno intero) presentano un’incidenza inferiore all’1% (0,7% e 0,5%, rispettivamente). L’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” è pari all’1,3%, con un ampio divario tra il Mezzogiorno (2,7%) e il resto del Paese (0,6% nel Nord, 0,8% nel Centro). Rispetto al 2022 si osserva un miglioramento dell’indicatore sia a livello nazionale (era 2,2%), sia a livello di ripartizione geografica (era 1,4% nel Nord, 1,5% nel Centro e 3,8% nel Sud).
L’insicurezza alimentare più grave
La prevalenza dell’insicurezza alimentare moderata o grave è maggiore nelle grandi città (1,6%), mentre le zone rurali o scarsamente popolate risultano meno esposte (0,9%); è inoltre più diffusa tra gli individui stranieri (1,8%) rispetto agli individui di cittadinanza italiana (1,3%).
Il confronto con l’Ue
Se le differenze non sono significative tra uomini e donne, né tra adulti e minori, lo sono invece quelle tra coloro che presentano, per motivi di salute, limitazioni nelle attività abituali (2,4%) e coloro che non hanno alcuna limitazione (1%). Tornando al confronto con i paesi Ue, e considerando l’indicatore europeo di grave deprivazione materiale e sociale, quest’ultimo mostra un lieve miglioramento tra il 2023 e il 2024 (dal 6,8% al 6,4%).
I pasti proteici
Una tendenza analoga, sebbene più marcata, si riscontra anche per l’indicatore sul pasto proteico, che dal 9,5% del 2023 scende all’8,5% del 2024. In Italia, a fronte di una sostanziale stabilità della grave deprivazione materiale e sociale (4,6%, era 4,7% nel 2023), la quota di popolazione che non può permettersi un pasto proteico è in aumento, passando dall’8,4 % del 2023 al 9,9% nel 2024 (quasi una persona su 10). Le percentuali più alte si osservano in Bulgaria (18,7%), Slovacchia (17,1%) e Romania (16,3%). L’Italia si posiziona al 19esimo posto (9,9%), prima della Germania (11,2%) e della Francia (10,2%).
Le dichiarazioni di Emanuela Droghei
Sul tema della insicurezza alimentare in Italia, Emanuela Droghei, consigliere regionale del Lazio spiega a L’identità: “Il Programma nazionale inclusione 2021–2027 si limita a prevedere la distribuzione gratuita di beni di prima necessità, senza affrontare le cause strutturali del fenomeno. Per questo è necessario l’approccio emergenziale a favore di una strategia integrata, che includa strumenti di monitoraggio più efficaci, il riconoscimento della mensa scolastica come servizio pubblico essenziale e un ruolo più incisivo degli enti locali per contrastare il fenomeno. Serve una governance partecipata, coinvolgimento attivo delle comunità. Per questo – conclude l’esponente dem -, è fondamentale rafforzare l’integrazione tra politiche nazionali e azione territoriale: le politiche pubbliche devono inserirsi in modo coerente nei contesti locali, attraverso un coinvolgimento più significativo nella definizione di strategie e allocazione delle risorse”.
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