Economia

L’intervista – Roberto Dalla Bona: “L’Italia supporti le imprese manifatturiere con…”

Parla il presidente e AD della Fonderia Guido Glisenti, azienda lombarda che produce 30mila tonnellate di ghisa

di Anna Germoni -


Ghisa sciolta nei forni, a temperature elevatissime. Poi gli stampi. Ed esce il prodotto: componenti per trattori, escavatrici, bulldozer. Acciaio che serve per le macchine pesanti. La Fonderia Guido Glisenti Spa, leader nel settore della ghisa sferoidale, ha due società ben distinte tra loro: il colosso storico, nato nel 1859 a Brescia e l’altra acquistata nel 2003 a Caldarola, nel maceratese.

Ci lavorano in totale circa 250 dipendenti con un fatturato nel 2023 di oltre 144 milioni di euro. Dal 4 giugno è scattata la nuova stretta commerciale imposta dal presidente americano Donald Trump con il raddoppio dal 25 al 50% delle tariffe doganali su acciaio e alluminio importati dall’estero. Come per il resto dell’Unione Europea, anche le aziende del nostro Paese stanno facendo i conti con la maggiorazione salvo nuovi accordi tra le parti. I dazi rischiano quindi di presentare un conto salato al settore in Italia che conta circa 900 stabilimenti, l’80% dei quali concentrati al Nord, e un fatturato complessivo che supera i 6 miliardi e mezzo di euro all’anno.

Parla Roberto Dalla Bona: “Le incertezze economiche e geopolitiche influenzano il settore”

Per avere il polso della situazione, abbiamo raggiunto telefonicamente Roberto Dalla Bona, presidente e amministratore delegato della multinazionale lombarda, che produce 30.000 tonnellate di ghisa, per l’automotive, per l’industria dei trattori e per le macchine movimento terra.

Qual è l’impatto diretto dei dazi statunitensi che avete constatato, se si può già fare un bilancio preventivo?
Certamente possiamo dare una indicazione. L’effetto diretto è poco rilevante, poiché la nostra azienda non ha una grande produzione significativa destinata agli Stati Uniti.

Quello indiretto?
Ahimè è molto rilevante, perché forniamo prodotti a costruttori di macchinari, come trattori e attrezzature per la movimentazione della terra, che sono costruiti in Europa, i quali vengono poi esportati in America. Consideri che in ogni mezzo agricolo prodotto in Europa e negli Stati Uniti c’è un nostro pezzo. I dazi imposti sull’acciaio possono influenzare questi costruttori, riflettendosi quindi sulle fonderie stesse.

Quali rischi per il mercato?
Sicuramente i dazi potrebbero aprire il mercato europeo ai produttori cinesi e indiani, aumentando la concorrenza per le fonderie europee. Questo potrebbe portare a una maggiore pressione sui prezzi e sulla competitività.

Il presidente di Federacciai chiede le barriere doganali sulla Cina. È giusto?
Sì, se vogliamo mantenere alta la competitività delle aziende europee, che affrontano costi energetici significativamente più alti rispetto ai loro concorrenti asiatici. Inoltre, l’Europa, e in particolare l’Italia, dovrebbe implementare le politiche per supportare le imprese manifatturiere, rendendole più competitive attraverso misure che riducono i costi energetici.

A proposito di costi dell’energia. La vostra bolletta sarà molto salata.
È raddoppiata rispetto ai livelli pre-pandemia, passando da circa 50 € a chilowattora a oltre 100 €, con picchi che hanno raggiunto anche i 600 €. Questo ci ha costretto a rivedere le strategie e a cercare modi per ridurre i costi. L’industria italiana, ma parlo in particolare della nostra azienda, sta adottando pratiche virtuose, utilizzando energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e riducendo l’uso di carbone. Inoltre, la nostra produzione di acciaio è altamente riciclabile, contribuendo a un’economia circolare. Sfioriamo il 100% della percentuale di rifiuti in prodotti riciclabili.

Come stanno reagendo i vostri clienti internazionali alla situazione di incertezza causata dai dazi e dal conflitto russo-ucraino?
Con un approccio molto, molto prudente. Stanno rallentando i nuovi progetti e gli investimenti. Possiamo dire che sono alla finestra. Questo è in parte dovuto all’incertezza economica e alle difficoltà nel fare previsioni a lungo termine. Per non parlare del conflitto russo ucraino in corso. Prima della guerra, l’80% delle materie prime necessarie proveniva proprio dalla Russia e dall’Ucraina. Con la distruzione di siti in queste terre e l’interruzione delle forniture, il comparto siderurgico ha dovuto cercare nuovi fornitori. I nostri, ad esempio, sono dislocati in Sudafrica e Brasile, ma i costi delle materie prime sono aumentati, rendendo la situazione ancora più complessa. Chiediamo al Governo e ci rivolgiamo alla stessa Meloni per misure più incisive per sostenere la competitività, in particolare per quanto riguarda i costi energetici, che sono significativamente più alti rispetto a quelli di paesi concorrenti in Asia e anche all’interno dell’Europa stessa.

Quali sono le prospettive occupazionali per la vostra fonderia e per il settore siderurgico in caso di stabilizzazione o prolungamento della crisi economica e geopolitica?
Siamo ottimisti, nonostante le attuali tensioni internazionali e l’economia in stallo. Le nostre fonderie, ai primi posti nella produzione di ghisa sferoidale in Italia ma anche in Europa, stanno riuscendo a mantenere bilanci dignitosi e a sopravvivere bene. Si prevede che, una volta risolte le questioni legate alla guerra russo ucraina, l’economia possa ripartire rapidamente, specialmente in relazione alla necessità di ricostruzione in Ucraina, che richiede una grande quantità di materiali e macchinari, inclusi quelli prodotti da noi. Sicuramente le attuali incertezze economiche e geopolitiche potrebbero continuare a influenzare negativamente il settore nel breve periodo. Ma siamo fiduciosi.


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