Esteri

L’Ue va alla guerra

di Domenico Pecile -


Tajani come Charles de Gaulle. Il vicepremier italiano sfida uno dei più grandi tabù della (recente) storia delle istituzioni Ue. Se vuole contare sul serio, è giunto, per l’Europa, il momento di pensare a una difesa comune. E di farlo subito. Non solo con gli eserciti, non soltanto con le esercitazioni comuni che, di quando in quando, rinsaldano e rafforzano la cooperazione tra i militari dei Paesi Ue. Bisogna pensare una strategia globale, che coinvolga anche il complesso industriale della sicurezza dell’Unione europa. La posta in palio è alta. In ballo c’è la pace.

Ieri mattina, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha aperto la conferenza sugli Stati generali dell’Ue all’Istituto universitario Europeo di Fiesole, a Firenze. Nel suo intervento ha richiamato le istituzioni comunitarie alle loro, precise, responsabilità. “Avere una difesa comune non significa trasformare l’Europa in una sorta di realtà guerrafondaia, ma significa avere un’Europa protagonista della politica e portatrice di pace”. Difesa comune non vuol dire solo esercito comune. Che, già da solo come concetto è abbastanza tabù. Ma per l’ex presidente del Parlamento europeo bisogna mettersi insieme anche sulle infrastrutture, sulle tecnologie e sulle strategie di difesa: “Se non c’è un sistema di difesa, anche un’industria di difesa, meglio coordinata che fa parte di un disegno europeo, certamente è più difficile fare politica estera”.

Tajani, però, è costretto a prendere atto della realtà. Che non è così promettente come si vorrebbe. Ha parlato di un “percorso” che le istituzioni Ue stanno facendo “un po’ lentamente”, circostanza che ha, come unica conseguenza, il fatto che l’Europa sia “indietro” rispetto alle altre grandi potenze che agiscono sullo scacchiere geopolitico internazionale. E quello che sta succedendo a Kiev e dintorni, per il vicepremier italiano, ne è la prova provata: “Ce ne accorgiamo proprio in questi momenti, quando si decide che dobbiamo dare le munizioni e sostenere l’Ucraina”.

Quando si parla di difesa comune europea c’è un convitato di pietra, onnipresente sullo sfondo. Si chiama North Atlantic Treaty Organization. Ma, per Tajani, non è detto che un esercito europeo sia, per forza, una sfida o, peggio ancora, un segnale di disimpegno, da parte dei Paesi europei dalla Nato. Anzi. Il ministro degli Esteri è netto: “La difesa comune Ue non è alternativa alla Nato ma, anzi, significherebbe rafforzare la presenza europea all’interno dell’alleanza”.

L’Europa, dunque, deve darsi una mossa. Perché l’Ucraina chiama. “Bisogna lavorare per la pace giusta – ha poi spiegato Tajani, parlando a margine del suo intervento coi giornalisti che hanno preso parte all’appuntamento fiorentino -. Ripeto quello che abbiamo sempre detto: pace significa indipendenza, non significa resa dell’Ucraina, e bisogna evitare di far peggiorare la situazione”. Le idee non mancano di certo: “Penso, ad esempio, alla necessità assoluta di creare una zona libera attorno alla centrale di Zaporižžja, penso al rafforzamento dei corridoi verdi per inviare grano e cereali in Africa”. Il vicepremier sottolinea che si tratta di “due questioni concrete sulle quali è giusto poter trovare un accordo per poi arrivare ad un accordo di pace anche attraverso l’azione del Vaticano e della Cina”. Antonio Tajani, però fissa dei paletti più che precisi, delle condizioni che non sono negoziabili: “Pace che significa indipendenza dell’Ucraina, mai resa dell’Ucraina”.

E spostandosi sui fatti della guerra in Ucraina, il titolare della Farnesina a proposito dell’attacco coi droni al Cremlino a Mosca ha sottolineato che “tutti gli eventi bellici creano problemi però non sappiamo l’origine e qual è la causa, perché è stato fatto e da chi è stato fatto questo attacco”. E non sono mancate neppure parole di biasimo nei confronti del ministro russo degli Esteri, Sergej Lavrov: “Sbaglia se si è detto incerto sul rinnovo dell’accordo sul grano ucraino, perché il blocco di quell’accordo colpisce popolazioni africane e i popoli più deboli. Un grande Paese che voglia essere tale non può utilizzare i problemi di popoli più deboli per cercare di ottenere di più sul fronte militare. Non è corretto, non è giusto, sarebbe un grave errore farlo”.

Ma Tajani, sempre a Firenze, ieri ha toccato altre questioni di stretta attualità che riguardano l’Europa. “A breve – ha avuto modo di dire – festeggiamo il 9 maggio, le feste non devono essere soltanto un atto burocratico, solo un giorno in cui si parla di un argomento perché previsto dal calendario. C’è da chiedersi perché siamo europeisti, perché crediamo nell’Europa. Non è un fatto burocratico o utilitaristico, l’Europa è la nostra storia, la nostra identità, la nostra cultura”. E per questo si è detto convinto che anche in Europa un sistema di alternanza e un confronto “tra idee e proposte liberali, conservatrici e popolari, e proposte di sinistra, sia un confronto giusto che renderebbe forse anche l’Europa più democratica”. Per Tajani, un sistema bipolare favorirebbe dialogo e confronto, “e quando ci sono dialogo e confronto si ottengono sempre risultati migliori”.

Infine, Tajani ha auspicato un passo in avanti sul Patto di stabilità: “Stiamo discutendo in questa fase del Patto di stabilità e crescita, se diciamo che il Patto nuovi, così come proposto dalla Commissione, rappresenta un passo in avanti, però credo che dovrebbe essere aggiustato. Magari escludendo le spese per transizione ecologica, Pnrr, e sostegno all’Ucraina”.

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