Economia

Mark Zuckerberg fa causa a Meta ma non è come sembra

Tra email sbagliate e sospensioni ingiuste, la sua vita social è un caos

di Andrea Fiore -


Chiamarsi come uno degli uomini più potenti della Silicon Valley non è necessariamente un biglietto di prima classe per la vita: lo sa bene Mark Zuckerberg, avvocato fallimentare dell’Indiana, che con il fondatore di Facebook condivide solo il nome… ma purtroppo anche un destino digitale piuttosto complicato.
Dal 2017 a oggi, il “Zuckerberg di provincia” si è visto sospendere la propria pagina Facebook ben cinque volte, con l’accusa di spacciarsi per il vero CEO di Meta. Ogni volta la stessa motivazione, ogni volta la stessa beffa: “Bel tentativo, finto Zuck!”. Nel frattempo, oltre 11.000 dollari in pubblicità online sono svaniti nel nulla, senza mai un rimborso.

La vita quotidiana da omonimo

E non è finita qui. Ogni giorno riceve più di cento email destinate all’altro Mark, e persino prenotare un tavolo al ristorante diventa un’impresa: “Certo, e io sono Bill Gates”, si sente rispondere.
Stanco dei continui fraintendimenti, l’avvocato ha deciso di portare Meta in tribunale. E, sorpresa: questa volta l’azienda ha dovuto ammettere l’errore. “Sappiamo che al mondo ci sono più persone che si chiamano Mark Zuckerberg. Stiamo lavorando per evitare che questo accada di nuovo”, ha fatto sapere l’azienda di Menlo Park.

Tra ironia e realtà

Con autoironia, l’avvocato ha paragonato la sua vita a quella di un altro omonimo celebre: Michael Jordan. Non il campione dell’NBA, ma l’uomo comune che in una vecchia pubblicità di ESPN non riusciva a fare nulla senza che tutti si aspettassero schiacciate spettacolari.
Insomma, chiamarsi Mark Zuckerberg oggi significa vivere a metà tra l’onore e l’onere: da una parte il prestigio di un nome che suscita curiosità, dall’altra lo scomodo fardello di essere scambiato per qualcun altro.

Una partita in salita

In fondo, chiamarsi Mark Zuckerberg senza esserlo davvero è un po’ come nascere con la maglia di una squadra famosa già addosso: tutti ti guardano, qualcuno ti applaude, altri ti fischiano, ma alla fine in campo ci devi giocare tu. E a volte, più che un privilegio, è solo una partita tutta in salita.


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