Editoriale

Mercenari della pace

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

La strada che l’Occidente sta intraprendendo è quella della guerra che continua, delle armi come un tempo, della rassegnazione a una crisi economica che investe milioni di famiglie. La morte di Prigozhin, dietro a cui c’è comunque la mano di Vladimir Putin, era talmente annunciata da non essere nemmeno tenuta in conto. La fine di un mercenario che ha sfidato il suo re ci racconta un po’ come se ci fosse davvero una strada alternativa a quella di una pace pretesa e costruita ad ogni costo dall’unica parte del mondo che oggi avrebbe ancora la forza per cambiare questo film già visto che sta portando disordine e paura.

Ma non finirà così perché gli Stati Uniti e l’Europa, racchiusi sotto la sigla della NATO, che da questa guerra ha ritrovato una nuova giovinezza, fanno parte della stessa sceneggiatura e come dei mercenari della pace non la condizionano ad uno sforzo diplomatico unilaterale talmente potente da lasciare senza parole chi non si fida più di noi, ma al contrario la subordinano a una politica di riarmo che in tempi di valori vacillanti e di borse fluttuanti potrebbe rivelarsi solo un boomerang, perché tanto è chiaro a tutti che la pace oggi non conviene a nessuno dei due lati del tavolo.

Bisogna dire però che vivere in un Occidente di democrazia e di libertà a parole ma che si comporta in maniera molto simile ai suoi nemici culturali e militari mette un senso di angoscia e di impotenza che da molti decenni non si provava. Quello che abbiamo di fronte è un futuro diverso da quello che avevamo progettato. L’unico interrogativo che rimane aperto è se la volontà di perseguirlo sia obbligata dal fatto che un piano di sviluppo planetario che guardasse a una maggiore distribuzione del reddito e a una uguaglianza nei fatti, sotto la spinta certo di un mondo più ecologico ma prima di tutto di un mondo più pacifico, sia un disegno fallito per nostra incapacità o per la decisione di qualcuno.

Certo è che vedere a pochi anni di distanza da quelle che avevamo chiamato le sfide dei Paesi emergenti e che l’Occidente aveva inventato e guidato il tentativo di costruire un’economia alternativa che scavalchi la speculazione che è protagonista degli ultimi decenni di vita democratica nel nome di qualcosa di diverso da noi, pur senza la certezza che questo progetto riesca, ci fa sentire tutti più deboli. E viene il dubbio che la morte di Prigozhin e tutta la narrazione che ne seguirà non sia altro che la scena finale della finta guerra che abbiamo combattuto finora, sebbene molto vera nella morte e nella distruzione, ma del tutto fantasiosa nelle sue reali prerogative. Perché ormai è chiaro a tutti che al mondo, fatto di Stati Uniti e Cina in particolare e di uno stato di minorità dell’Europa che non si vedeva da decenni, hanno ben altre intenzioni da questo conflitto e ben altre ambizioni del tentativo di vincerlo.

Perderemo del tempo a filosofare su cosa sia avvenuto davvero al capo mercenario della Wagner. E sarà tempo perduto. Perché la guerra che comincia oggi ha le sembianze del conflitto autentico e di quanto tale conflitto sia ormai parte della nostra quotidianità, come è stata la pandemia per due anni e più, elemento questo necessario perché ogni scelta possa trovare una giustificazione che fino a qualche mese fa anche in un continente abituato ormai a subire le decisioni a peggiorare le condizioni non sarebbe stata accettabile.

Ci resta solo la speranza che l’Europa alzi la testa e proprio in virtù della sua storia e della sua importanza politica e diplomatica, scelga di avere finalmente un ruolo in tutto quello che sta succedendo. Un ruolo non di comprimario e narratore, ma di agente sociale e politico per cambiare le sorti di un conflitto che sta sfuggendo al nostro controllo, fino a quando i tavoli su cui si deciderà non saranno più i nostri.

 


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