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Microplastiche e demenza: nei cervelli malati cinque volte più plastica

di Priscilla Rucco -


Nel nostro cervello si sta accumulando plastica. Non è becera ironia, ma è il risultato di uno studio pubblicato su Nature Medicine dall’Università del New Mexico, e rappresenta una delle scoperte più allarmanti degli ultimi anni sul rapporto tra inquinamento ambientale e salute. I ricercatori hanno analizzato 52 cervelli umani prelevati da autopsie effettuate tra il 2016 e il 2024. Ognuno di questi conteneva in media 4.800 microgrammi di microplastiche per grammo di tessuto – l’equivalente di un cucchiaino da tè -. Ma il dato più allarmante emerge dal confronto temporale: negli otto anni che separano le due raccolte di campioni, la quantità di plastica accumulata nel cervello è aumentata del 50%. Questo incremento rispecchia perfettamente l’andamento della produzione mondiale di plastica, che raddoppia ogni 10/15 anni.

Il cervello si conferma l’organo più colpito dall’invasione delle microplastiche, con concentrazioni dalle 7 alle 30 volte superiori rispetto al fegato e reni. Le nanoplastiche, grazie alle loro dimensioni infinitesimali riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica, quel sistema di difesa che dovrebbe proteggere il cervello da sostanze nocive. Gli scienziati ipotizzano che le particelle entrino attraverso le vie olfattive, risalendo dal naso direttamente al cervello.

L’Italia all’avanguardia nella ricerca

Risultati simili emergono da uno studio italiano presentato nell’ottobre 2024 al Planetary Health Festival di Verona. La ricerca, commissionata da Vera Studio e condotta dall’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, ha rivelato che nel cervello umano di peso medio le concentrazioni di micro e nanoplastiche corrispondono all’equivalente di un terzo di una bottiglia di plastica da 1,5 litri. “Questo rapporto è importante perché racchiude, per la prima volta, i risultati di tutte le ricerche pubblicate a livello internazionale”, ha dichiarato il professor Raffaele Marfella, del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate. “Nell’indagine emerge con chiarezza che le quantità di micro e nanoplastiche presenti in molti organi del corpo umano sono rilevanti, soprattutto nel cervello”.

L’Italia è pioniera nello studio degli effetti delle microplastiche sulla salute. Un precedente studio coordinato dall’Università Vanvitelli e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel marzo 2024 ha fatto epoca, dimostrando per la prima volta la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche delle arterie carotidee. La ricerca, condotta su 257 pazienti over 65 sottoposti a endoarteriectomia, ha rivelato dati allarmanti: nel 58,4% dei pazienti sono state trovate particelle di polietilene, nel 12,5% tracce di PVC.

I pazienti con placche contenenti microplastiche presentavano un rischio almeno raddoppiato di infarto, ictus e mortalità rispetto a chi aveva placche prive di contaminazione plastica”, ha spiegato il professor Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio. Il New England Journal of Medicine ha definito la scoperta “rivoluzionaria”, sottolineando come le microplastiche possano rappresentare un nuovo fattore di rischio cardiovascolare da considerare con urgenza. L’Università Vanvitelli ha istituito un centro di ricerca dedicato allo studio dei danni da micro e nanoplastiche sull’organismo umano.

La risposta europea: nuove norme contro l’invasione

Di fronte all’accumulo di evidenze scientifiche sui rischi per la salute, l’Unione Europea ha adottato misure concrete. Il Regolamento (UE) 2023/2055, entrato in vigore il 17 ottobre 2023, introduce restrizioni stringenti alla vendita, all’uso e all’immissione sul mercato di prodotti contenenti microplastiche aggiunte intenzionalmente.

La normativa europea, che modifica l’Allegato XVII del Regolamento Reach, utilizza una definizione ampia: sono considerate microplastiche tutte le particelle di polimeri sintetici inferiori a cinque millimetri, organiche, insolubili e resistenti alla degradazione.

Particolare attenzione è rivolta ai campi in erba sintetica degli impianti sportivi, la principale fonte di microplastiche rilasciate nell’ambiente con circa 16.000 tonnellate l’anno solo in Europa. I gestori hanno tempo fino al 2031 per sostituire i granuli di plastica utilizzati come riempimento con materiali alternativi sostenibili. La Commissione Europea ha inoltre adottato nel marzo 2024 la Decisione delegata (UE) 2024/1441, che stabilisce una metodologia standardizzata per misurare le microplastiche nelle acque destinate al consumo umano.

Microplastiche nel cervello: i pazienti con demenza

Un elemento particolarmente significativo emerso dalla ricerca riguarda i pazienti affetti da demenza. I cervelli di 12 persone decedute con diagnosi di demenza contenevano dalle tre alle cinque volte più microplastiche rispetto ai campioni di controllo. I ricercatori sottolineano che non è ancora stato stabilito un nesso causale, ma il dato merita approfondimenti urgenti.

Il polietilene – il materiale usato per sacchetti e imballaggi alimentari – costituisce circa il 75% delle microplastiche rilevate nei campioni cerebrali. Questa prevalenza indica chiaramente le principali fonti di esposizione: contenitori per alimenti e bevande, tubature dell’acqua, imballaggi.

Matthew Campen, professore di tossicologia e autore principale dello studio americano afferma che: “La situazione è peggiore di quanto pensassimo. L’aumento delle microplastiche nel corpo umano riflette direttamente i livelli di esposizione ambientale, in costante crescita”.

La comunità scientifica chiede studi più ampi e finanziamenti per comprendere i meccanismi di accumulo, gli effetti a lungo termine sulla salute neurologica e cardiovascolare, le soglie di sicurezza. Mentre la ricerca speriamo possa proseguire e l’Europa avanza con normative sempre più stringenti, ogni giorno accumuliamo nel nostro corpo frammenti di un mondo costruito sulla plastica. E il cervello, custode della nostra memoria e coscienza, ne paga ingiustamente, un prezzo troppo alto.


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