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Oggi la sentenza d’Appello per Alessia Pifferi: in primo grado fu ergastolo

di Eleonora Ciaffoloni -


A Milano si torna in aula per una nuova udienza del processo in appello a carico di Alessia Pifferi. La donna è accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di appena 18 mesi, nell’estate del 2022. La piccola fu trovata senza vita nell’appartamento di Ponte Lambro, dove era rimasta sola per sei giorni consecutivi mentre la donna si era allontanata per raggiungere il compagno.

Nel primo processo, il tribunale aveva condannato Pifferi all’ergastolo con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Per il tribunale l’abbandono della bambina è stato frutto di una distrazione o di un gesto improvviso, ma una scelta consapevole. Oggi, dopo la requisitoria del procuratore generale, si attende la sentenza della Corte d’Appello, che dovrà confermare o rivedere quella condanna.

Processo appello per Alessia Pifferi: il nodo della capacità di intendere e di volere

Uno dei punti centrali della difesa riguarda la capacità della donna di intendere e di volere al momento dei fatti. In passato erano emersi dubbi sulle sue condizioni psicologiche, ma la perizia disposta nel processo d’appello ha stabilito che fosse in grado di comprendere pienamente le conseguenze delle sue azioni.

Nell’ultima udienza, lo scorso 22 ottobre, è stata ascoltata in aula la criminologa Roberta Bruzzone, consulente di parte civile. Le sue parole hanno confermato il quadro tracciato dai periti. Secondo Bruzzone, il comportamento della donna mostra una piena lucidità. “I suoi bisogni sono l’unica cosa che conta davvero e tutto il resto si muove perifericamente”, ha dichiarato.

La criminologa ha sottolineato come Pifferi fosse perfettamente in grado di valutare la differenza tra i propri interessi e quelli degli altri: “Lei è totalmente in grado di fare un bilanciamento tra i suoi bisogni e quelli degli altri. Non c’è neanche un conflitto. Gli altri non sono così importanti, compresa la bambina”. E ha aggiunto che la donna non avrebbe agito per inconsapevolezza, ma per priorità personali: “Se lei si nutre emotivamente, il resto passa in secondo piano, compresa la bambina”.

Bruzzone ha ricordato anche cosa accadde quando Pifferi rientrò nell’appartamento dopo sei giorni di assenza. La donna aprì le finestre, lavò la piccola e tentò di inscenare una versione alternativa dei fatti, chiamando una vicina e affermando che la bambina fosse stata con una babysitter. “Con una capacità manipolatoria assolutamente di buon livello, mente dicendo ‘Io l’ho lasciata con la babysitter'”, ha spiegato, ricordando che le stesse versioni furono ripetute ai soccorritori del 118.

Ora la Corte d’Appello è chiamata a decidere se confermare la pena massima inflitta in primo grado. La sentenza è attesa in giornata.


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