Pasolini e la cultura della destra
Che la cultura conservatrice con Pasolini sia sempre stata molto a proprio agio è un dato acquisito. Pur nel suo antifascismo assoluto, estremo e radicale, ma contraddittorio, come tutto il suo modo di pensare e con tutta la sua incrollabile fede marxista, che tuttavia lo portava agli antipodi rispetto alla dottrina del Partito comunista, che addirittura lo espulse per “indegnità morale”,
L’intellettuale
Pier Paolo Pasolini è stato ed è molto apprezzato a destra. In passato forse meno, ma oggi sicuramente. Probabilmente sono ormai sopiti gli echi delle sue vicende giudiziarie e le innumerevoli fondate accuse di abusi sessuali a danno di minori dei quali è stata costellata la sua tormentata vita di omosessuale, fino alla morte.
Sicuramente Pasolini non era un progressista, come acutamente rilevato da più di un intellettuale, anzi, era quanto mai legato alla sua terra contadina e alle tradizioni religiose friulane, pur essendo ateo: “sono un uomo del passato” scrisse in una sua poesia celeberrima del 1962.
La sensibilità dell’uomo
E questo tipo di sensibilità lo rendeva molto affine alla mentalità conservatrice. Sebbene non meritata, si può ascrivere alla cultura di destra una certa solidarietà per l’essere stato Pasolini fratello di una delle due vittime illustri dell’eccidio di Portus nel febbraio del 1945, l’altro essendo Francesco de Gregori, zio del cantautore romano.
Del resto, anche solo il ricordo di quella infame strage, simbolo di un tradimento costato il sangue di decine e centinaia di migliaia di italiani, avendo avviato l’esodo giuliano – dalmata, la memoria di quella vicenda è fondamentale per mantenere viva la realtà della guerra civile voluta da Togliatti durante la seconda guerra mondiale e oltre, subito dopo la caduta di Mussolini.
La storia
Per Togliatti infatti i partigiani erano solo i comunisti del maresciallo Tito e con un preciso ordine scritto impose a tutti i partigiani italiani di sottomettersi al IX Korpus dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, nemica dell’Italia in guerra, sia prima sia dopo il fascismo.
Il diciannovenne partigiano italiano Guidalberto Pasolini, nome di battaglia “Ermes”, fu barbaramente ucciso con i suoi compagni della Brigata Osoppo, comandata da Francesco de Gregori, perché si rifiutò , insieme agli altri, di strappare le mostrine tricolori dalla divisa per appiccicare la Stella Rossa di Belgrado e Lubiana, come avevano fatto i partigiani delle Brigate Garibaldi, che affrontavano la loro lotta non per un’Italia libera e democratica bensì per una rivoluzione bolscevica, per diventare un paese del “socialismo reale”, nell’orbita sovietica.
Nelle lettere di Pier Paolo Pasolini la morte del fratello spiega tutta la sua importanza e l’influenza sulla sua vocazione letteraria e sulla sua identità di militante atipico del Partito Comunista fino alla sua espulsione.
La propaganda
Queste vicende per la destra segnano il discrimine tra la storia e la propaganda di cui è inondata l’Italia fin dai tempi della c.d. “egemonia culturale” della sinistra e anche oggi su ChatGPG e sugli altri generatori di intelligenza artificiale. A suo modo Pasolini è stato uno scrittore lontano dalla propaganda del suo partito, che infatti lo ha cacciato, e anche così si spiegano le simpatie della destra, da sempre vicina ai poliziotti più che ai manifestanti figli di papà e più tollerante in materia sessuale.
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