Patrimoniale mon amour: oggi si terrà il confronto tra governo e sindacati sulla manovra e Landini è già pronto a menar le mani. Ha pur sempre da giustificare una manifestazione in piazza, già abbondantemente convocata per sabato prossimo (e molto prima che si iniziasse anche solo a vedere i contorni della Finanziaria). La Cisl, che col governo ci dialoga ormai da tempo e in maniera evidentemente proficua, ha annunciato di voler sottoporre all’attenzione di Meloni e Giorgetti proposte come la riduzione della seconda aliquota Irpef di tre (e non più due) punti, insieme alla detassazione delle tredicesime già da quest’anno. Il sindacato, poi, chiederà la detassazione del cosiddetto “lavoro scomodo” ossia di quegli impieghi che presentano rischi più elevati e tutta una serie di proposte per agevolare natalità e famiglie. Landini, invece, si presenterà con la proposta della patrimoniale. Tra le più assertive e pesanti d’Europa. Un’aliquota tra l’1,1% e l’1,3% per i patrimoni sopra i due milioni di euro, coinvolgerebbe circa mezzo milione di contribuenti (ma in realtà potrebbero essere molti di più) e farebbe incassare, dicono dalla Cgil, 26 miliardi. Detta così, pare una cosa semplice, di buon senso ed efficace.
Peccato, però, che in Europa non lo faccia nessuno. Nemmeno la Francia dove, di patrimoniale, se ne parla da anni e con maggior fervore in questi giorni. Solo che a Landini, absit iniuria verbis, devono avergli tradotto male la proposta Zucman. L’idea, che prende il nome dall’ennesimo economista liberal e telegenico che l’ha avanzata, prevede la tassazione dei patrimoni pari o superiori a 100 milioni di euro per un’aliquota pari al 2% minimo. Pesante, certo. Ma se la prenderebbe solo coi super-ricchi. Non la signora Dupont che ha ereditato un paio di appartamenti in buona posizione a Lione o a Nantes, ma gente come Bernard Arnault, che rivaleggia con Elon Musk e gli altri nababbi nella gara al più ricco del mondo. Ma non se ne farà nulla. E non perché un governo non c’è e se c’è non si vede ma, più semplicemente, perché nessuno vuole fare la fine di François Hollande e dei suoi socialisti. Tantomeno uno imbullonato alla poltrona come Macron. In Europa la patrimoniale non è poi una soluzione tanto praticata. Anzi. La Spagna, mai tanto socialista come adesso, retta com’è da un governo che si barcamena (senza aver vinto le elezioni) con il consenso ondivago delle frange più radicali, ha una patrimoniale anzi un “contributo di solidarietà” che scatta sui patrimoni superiori a 3,7 milioni. Quasi il doppio di quello proposto da Landini. Inoltre il modello spagnolo prevede la possibilità di fare (ampio) ricorso a tutta una serie di franchigie per abbattere le soglie impositive. Più che altro, un accrocchio complicatissimo tra soglie e aliquote (dall’1,7 al 3,5%), che coinvolge pure le autonomie locali, che nei fatti rappresenta più un intervento simbolico. In Olanda, alla patrimoniale, è legato uno degli scandali più eclatanti che si siano mai registrati nei Paesi Bassi. Per anni il governo ha incamerato soldi calcolati sui beni posseduti dai cittadini ma, nel 2022, la Corte Suprema ha stabilito che i prelievi erano calcolati male col risultato che il governo, allora presieduto dall’attuale segretario generale della Nato Mark Rutte, ha dovuto restituire fino a 11 miliardi alle famiglie. C’è, poi, la grande lezione tedesca. In Germania, la patrimoniale c’era ma se ne sono liberati da quasi vent’anni, anno domini 1997. E perché lo hanno fatto? Semplice, per evitare che i ricconi lasciassero tutto e si portassero le loro doviziose sostanze all’estero. La Cgil, pur di litigare col governo e tornare in piazza a recitare un ruolo politico, vorrebbe reintrodurla in Italia. E tutto questo come se, nel frattempo, in un Paese in cui il 45% della ricchezza accumulata dalle famiglie è costituita per lo più da immobili, non ci siano già abbastanza tasse e balzelli sulla casa da pagare, e questo per non parlare di bolli, controbolli, gabelle e tasse di gestione di capitali immobilizzati in chissà quale investimento. Landini e la sua patrimoniale, ancor prima dell’incontro di oggi a Palazzo Chigi, rischiano di restar soli e non solo perché l’Uil s’è smarcata ormai dal “no” a prescindere al governo. Conte e Schlein, pur fautori dell’ipotesi, non hanno aperto bocca (finora) per difenderlo.