Pfas, sentenza storica: condanne per 141 anni a undici manager Miteni
La Corte d'Assise di Vicenza scrive una pagina della giustizia ambientale italiana: le condanne e i risarcimenti
Una sentenza che segna un solco, la Corte d’Assise di Vicenza ha scritto una pagina indelebile nella storia della giustizia ambientale italiana: ha inflitto 141 anni di carcere a undici manager della Miteni di Trissino, azienda al centro del più grave caso di inquinamento da Pfas mai documentato nel nostro Paese.
Il dato più significativo è che le condanne sono risultate più pesanti delle richieste formulate dalla Procura, coordinata da Lino Bruno, che aveva sollecitato 121 anni complessivi per 9 dei 15 manager coinvolti. Applausi del pubblico presente, composto in gran parte da attivisti del movimento Mamme NoPfas, alla lettura del verdetto. Al ministero dell’Ambiente è stato riconosciuto un risarcimento di 58 milioni di euro, mentre alla Regione Veneto di 6 milioni. Alle decine di parti civili costituite sono stati riconosciuti attorno ai 100 milioni.
Pfas: condanne e assoluzioni, la lettura della sentenza
Dopo sei ore di camera di consiglio, la giuria popolare presieduta da Antonella Crea (a latere Chiara Cuzzi), ha pronunciato undici condanne e quattro assoluzioni, ritenendo provati i principali reati. Le pene variano da un minimo di 2 anni e 8 mesi a un massimo di 17 anni e mezzo, con il riconoscimento del disastro ambientale doloso, dell’inquinamento delle acque e della gestione illecita di sostanze pericolose e reati fallimentari. Per alcuni imputati si è assistito a un incremento delle pene sollecitate dai Pm Hans Roderich Blattner e Luigi Salvadori, per le gestioni delle multinazionali Mitsubishi e Icig.
Tra i condannati principali spicca Brian Anthony Mc Glynn, cui sono stati inflitti 17 anni e 6 mesi. Analoga severità nei confronti dei manager tedeschi e giapponesi Alexander Nicolaas Smit, Georg Reimann, Patrick Schnitzer Baron, Naoyuki Kimura e Yugi Suetsune, tutti puniti con pene che oscillano tra 16 e 17 anni, laddove l’accusa si era attestata su valori più moderati. Per gli ex dirigenti italiani, le pene variano dai 5 anni di Antonio Nardone ai 12anni di Luigi Guarracino. Quattro imputati sono stati assolti. Pur in attesa delle motivazioni, appare evidente che la Corte abbia riconosciuto non solo la responsabilità oggettiva, ma anche la piena consapevolezza soggettiva degli imputati.
La Corte dopo quattro anni di dibattimento ha ritenuto provato che i vertici Miteni fossero a conoscenza degli effetti nocivi delle sostanze perfluoroalichiliche prodotte e scaricate, e che abbiano consapevolmente omesso di informare le autorità sanitarie e ambientali. Non è stato considerato credibile il tentativo difensivo di far ritenere che gli imputati non fossero a conoscenza, durante il periodo della loro dirigenza della pericolosità delle sostanze. Al contrario, la Corte ha valorizzato il carattere sistemico e reiterato dell’inquinamento, il dolo eventuale nella prosecuzione dell’attività produttiva, e l’adozione di pratiche aziendali elusivamente strutturate per aggirare i controlli e contenere i costi ambientali.
I dati emersi nel processo della catastrofe ambientale che ha coinvolto le province di Vicenza, Verona e Padova sono sconcertanti: oltre 350 mila persone potenzialmente esposte ai Pfas, 150 chilometri quadrati di falda contaminata, oltre 1.800 punti di captazione idrica compromessi, e un impatto documentato su fertilità, sviluppo neurocomportamentale e sistema immunitario dei soggetti esposti.
A nulla sono valse le argomentazioni difensive secondo cui la Miteni operava “in un contesto normativo incerto”: le evidenze fornite da periti, consulenti e accademici (in particolare le relazioni del prof. Carlo Foresta e del Dipartimento di Medicina Ambientale dell’Università di Padova) hanno dimostrato che l’allarme interno all’azienda era noto da anni, ma deliberatamente sottaciuto. La sentenza prevede risarcimenti provvisori immediatamente esecutivi per centinaia di parti civili delle province di Vicenza, Verona e Padova, numerosi Comuni e centinaia di cittadini privati.
Con questa decisione, la Corte d’Assise di Vicenza traccia un precedente giurisprudenziale, che ovviamente dovrà trovare conferma negli altri gradi di giudizio, visto che le difese hanno preannunciato appello, di enorme rilevanza, non solo per l’entità delle pene e dei risarcimenti, ma soprattutto per l’approccio adottato: si afferma con forza che l’inquinamento industriale non è una fatalità né un costo collaterale del progresso, ma un crimine con responsabilità penali personali.
All’uscita dal Tribunale, le Mamme No Pfas e i Comitati civici hanno accolto la sentenza con soddisfazione mista a commozione. “Abbiamo lottato per otto anni, e oggi ci viene riconosciuta giustizia, è una grande vittoria” ha dichiarato Michela Piccoli, da sempre in prima linea. I cittadini hanno applaudito, ma già si guarda al futuro: la vera sfida ora è la bonifica, per la quale si stima un fabbisogno assai oneroso. Gli avvocati di parte civile, Angelo Merlin e Marco Tonellotto, affermano che “comportamenti criminali evidenti hanno causato questo disastro che non ha precedenti in Italia”. Il processo Pfas si conclude con una sentenza più severa delle richieste accusatorie, a dimostrazione della portata straordinaria del danno accertato e della volontà della giuria popolare di stabilire un nuovo paradigma di giustizia ambientale. Vicenza diventa così la capitale di una nuova stagione: quella in cui chi inquina risponde. Personalmente. Penalmente. Civilmente.
Torna alle notizie in home