Editoriale

Pignora ed labora

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

L’autunno che comincia in anticipo, anche se questo maltempo fosse solo un prodromo e l’estate ci servisse ancora qualche bella giornata, pone in sé le due grandi questioni che impegneranno il governo e il Paese nei prossimi tre mesi.

La prima riguarda la situazione reale dei risparmiatori. E il fatto che le politiche della Banca Centrale Europea, ottime per un esame di economia ma pessime a un esame della realtà, stanno aprendo la strada a quello che in autunno sarà un fenomeno talmente rapido da diventare endemico in poche settimane. L’ingresso in Italia di strutture private che compreranno debiti. E le politiche dei tassi che poco o nulla, più nulla che poco, hanno fatto contro l’inflazione faranno invece per mettere altre centinaia di migliaia di famiglie di fronte a un bivio fra ciò che avevano progettato di fare e un debito che improvvisamente, sommato al costo della vita e ai salari più bassi dei Paesi industrializzati, si è trasformato da strumento finanziario garantito a sostegno di un sogno a trappola bancaria ad alimentazione di un incubo.

Come se il detto benedettino alle prese con i tempi moderni diventasse un inquietante “pignora et labora”, il governo con i pochi soldi che ha e i vincoli pesanti legati al debito e al mantenimento delle promesse, e cioè che la priorità politica è l’abbattimento del cuneo fiscale, può pensare di superare la strettoia autunnale solo se in Italia molte più persone di adesso cominceranno a lavorare. Il lavoro è l’unica strada per tentare di far quadrare un cerchio che vede ridimensionato il welfare di cittadinanza, ritenuto dal centrodestra uno strumento elettorale che non ha prodotto risultati, la necessità di far rientrare attraverso le imposte il più possibile di quanto investito nel settore produttivo attraverso un sistema virtuoso di economia reale, la possibilità di garantire una maggiore domanda sul mercato quotidiano, capace molto più delle filosofie di Lagarde di far restare i conti delle famiglie almeno sotto un colore arancione chiaro, dove già molti vedono per ottobre/novembre un rosso pompeiano.

Non è un caso che gli Stati Uniti d’America alle prese con una crisi interna che metterà Biden nella condizione di fare scelte drastiche se non vuole il boomerang durante la campagna per le presidenziali, stanno mutando pur senza grandi proclami il posizionamento della Casa Bianca nello scenario internazionale. Dal tentativo di trovare una via diplomatica con la Cina per evitare che la guerra dei Big Tech, sommata alla dedollarizzazione che si sta estendendo come proclama da Pechino ai nuovi Paesi del Brics, fino alla guerra in Ucraina, molto utile a proclamare i principi della democrazia e invocare l’unità popolare, ma nei fatti molto meno efficace della pandemia nel riuscirci. Una strategia fatta di promesse militari, armi e denaro, che agli americani non convince più e che divide gli europei, ma che soprattutto non sta portando affatto né verso una vittoria dell’Occidente né verso un tavolo di pace.

Anzi, le ultime parole di Zelenski sulla Crimea sembrano dirci che dopo un anno e mezzo di certezza forse gli effetti indesiderati di questo conflitto cominciano a essere chiari anche a chi ci governa. Ed ecco che il governo italiano prova a disegnare lo sfondo autunnale della sua azione, che peserà per circa 30 miliardi, il massimo che ci consentono i conti pubblici, molto meno di quanto servirebbe all’Italia. Ma che può avere un effetto contratto o una propulsione maggiore sul sistema economico se il motto dei nuovi benedettini avrà una pronuncia più forte del lavoro di quanto abbia delle parole, quell’”ora” della versione originale, e soprattutto di crisi reale delle famiglie, sintetizzabile nella più brutta ma autentica delle conseguenze di questi tempi: pignora.


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