Editoriale

Quelli che Zaki

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Poveri noi. Senza avere letto una carta processuale, con una conoscenza media dell’Egitto da visione salottiera di Assassinio sul Nilo, abbiamo stabilito che Zaki fosse come Regeni. Una balla. E adesso che l’hanno graziato applaudiremo l’Egitto.

E siamo quindi pronti a fare quello per cui siamo già schierati in massa: far entrare la Turchia di Erdogan fra le democrazie dell’Unione europea e vendere al regime i curdi che ci hanno aiutato versando il loro sangue nella guerra contro l’Isis quando l’Occidente sapeva ancora di cosa parlava. Bene così, non c’è nulla di cui stupirsi.

Non più tardi di pochi giorni fa la comunità internazionale ha applaudito e non ha posto nessun tipo di dubbio, nemmeno per civetteria, quando la Turchia ha portato a termine il suo ricatto ai vertici dell’Unione europea e ha dato il suo benestare all’ingresso della Svezia nella Nato in cambio, anche se nessuno lo dice, perché guai a dire una cosa che non sia arrivata per velina dai Palazzi, della consegna al dittatore che – non certo per merito suo – siede già nella Nato (da tempi non sospetti, per fortuna di tutti) di Ankara di dissidenti curdi rifugiati in territorio svedese, vale a dire i rappresentanti di quella guerra silenziosa che ha visto l’ultimo, vero nemico dell’Occidente democratico, l’Isis, affrontarla da gente che perdeva la vita perché credeva, sbagliando, nella nostra parola. Che come sappiamo vale zero da molto tempo.

Di tutto questo, per una sorta di pudore censorio, di silenzio assenso che ci fa capire che siamo italiani, lo siamo sempre stati e che lo saremo sempre, ve lo scrivo chiaro nell’anniversario degli 80 anni dall’armistizio del 1943, quando questo paese è riuscito a dare al mondo il peggio di sé, nulla viene raccontato dai media, nessun commento sull’accordo che grida vendetta sottoscritto da Turchia, Svezia e Finlandia che trasforma in grande vittoria della democrazia il peggiore baratto tra il rispetto (vero, non a chiacchiere) dei diritti – tra cui quello basilare di libertà di opinione – e il rispetto degli accordi internazionali.

Con l’aggiunta che sappiamo bene che il Sultano Erdogan che sta per diventare un partner dell’Unione europea (ah, ah, ah) ha già mostrato al mondo che fine faranno i dissidenti che noi stiamo per consegnare e di cui sono piene le prigioni turche. E così per metterci apposto la coscienza, fra una commemorazione di Borsellino e una sparata sulla giustizia, ci serve un eroe da difendere nel nome dei diritti. Quelli che ci comodano quando c’è la Luna piena e che dimentichiamo quando invece c’è la Mezzaluna.

Ed ecco che la richiesta di chiarezza e trasparenza per Zaki, a una nazione con cui continuiamo a avere relazioni di ogni tipo dopo la morte di Giulio Regeni, scompare non appena quella stessa politica accusata di strumentalizzare un povero ragazzo ci fa il favore di liberarlo.

Ci aspettiamo gli applausi a Al Sisi come li abbiamo fatti ad Erdogan. Perché quando la facciamo sporca ci serve un capro espiatorio etico, ci serve un rifugio culturale per dire che noi non siamo così. E cosa c’è di meglio di un giovane egiziano che finisce in galera in Egitto? Cosa c’è di meglio di un nuovo caso Regeni da imbastire in poche ore? Senza avere letto nulla, senza sapere nulla. All’italiana.


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