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Matteo Renzi: il rottamatore che non se ne va mai, tra garantismo, referendum e riforme “già fatte”

Matteo Renzi torna a pontificare su garantismo, toghe e riforme epocali. Ma ricordate quando disse che avrebbe lasciato la politica se avesse perso il referendum? E invece…

di Anna Tortora -


Renzi e la riforma epocale del buon senso (che, ovviamente, aveva già fatto lui)

Matteo Renzi è tornato a illuminare il dibattito politico con la consueta modestia che lo contraddistingue.
Sulla separazione delle carriere dei magistrati, il leader di Italia Viva ha chiarito che «è giusta, ma c’è già».
Una frase che, detta da chi ha inventato il Jobs Act, suona un po’ come:
“è una rivoluzione bellissima, ma tranquilli, l’ho già fatta io senza che ve ne accorgeste”.

Renzi ci spiega che su 8.800 magistrati, solo 28 cambiano carriera.
Una cifra minuscola, ma sufficiente per costruirci sopra un dibattito di due settimane, tre talk show, quattro titoli di giornale e forse una nuova corrente politica.
Perché se c’è una cosa che Renzi sa fare meglio di tutti, è trasformare una parentesi statistica in un comizio con finale moraleggiante.
Poi arriva la stoccata bipartisan:
«Sbaglia la destra a considerarla la riforma epocale e sbaglia la sinistra a gridare all’arrivo dei pieni poteri».
In poche parole, tutti sbagliano tranne lui.
Renzi, come sempre, si colloca nell’unico punto del grafico politico dove la coerenza e l’autostima si fondono in un unico colore: il fucsia renziano.

Il garantista a intermittenza

E poi c’è la parte più affascinante del discorso renziano: il garantismo a comando.
Renzi, che da anni brandisce la bandiera del “garantismo vero”, oggi ammonisce il Pd a non appiattirsi sulla linea delle toghe, ma nello stesso tempo chiede alla premier di “andare a casa se perde”.

Insomma, garantismo sì, ma solo se il risultato è buono.
Un po’ come quando giochi a briscola e cambi le regole a seconda di chi vince la mano.
È il Renzi che conosciamo: sempre pronto a difendere i principi, purché lo facciano apparire un passo avanti agli altri.
Il garantismo, in questa versione, non è più un valore: è una posizione geometrica, una figura retorica che si muove agilmente tra il talk show e il titolo di giornale.
In fondo, Renzi riesce a stare a destra della sinistra, a sinistra della destra, e sempre al centro di se stesso.

L’uomo che doveva andare a casa (ma ha trovato il modo di restarci)

E pensare che fu proprio lui, nel lontano 2016, a dirlo solennemente:
«Se perdo il referendum, lascio la politica».
Una frase storica. Epica. Commovente, quasi.
Poi ha perso. E invece di lasciare, ha semplicemente cambiato casa, logo e canale televisivo.
Una sorta di trasloco ideologico permanente, dove a muoversi non è l’arredamento, ma la coerenza.
Oggi, con disarmante naturalezza, Renzi spiega alla premier che se perde deve “andare a casa”.
Lui, che quella casa l’aveva promessa agli italiani come un addio, ma l’ha trasformata in una residenza stabile del dibattito politico.
Il risultato è sempre lo stesso: Renzi non se ne va mai.
Cambia solo il tono, la cornice, il microfono.
Il rottamatore di ieri è diventato il commentatore ufficiale dei rottami altrui,
e ogni volta che pronuncia la parola “responsabilità”, un vecchio tweet del 2016 sobbalza sul divano.
Ma in fondo, è anche questo il suo talento:
riesce a sopravvivere a ogni sconfitta, persino alle proprie promesse.

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