Editoriale

Se la ditta diventa Spa

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Dopo essersi diviso sulla gestazione ora il PD si divide sulla leadership. E arriva la figura molto progressista del segretario per altri, Stefano Bonaccini, con un acronimo Spa che sembra una evoluzione della vecchia Ditta di Bersani e soci. Va fatta una premessa: in un partito con una storia normale una grande area moderata che si confronta con la componente più idealista è un valore aggiunto e può portare, come ci insegna la storia politica di Silvio Berlusconi, a un allargamento della base elettorale. Ma noi stiamo palando di un partito che dalla sua fondazione, nel 2007, non ha ancora invertito il maleficio che si è manifestato tutte le volte che un nuovo segretario sedeva al Nazareno.

In grande sintesi, da Walter Veltroni a Elly Schlein la storia si ripete: primarie aperte e grande partecipazione emotiva e culturale in una specie di campagna elettorale senza avversari, l’elezione del prescelto o della prescelta e poi la sconfitta alle elezioni politiche. Non serve essere il dottor House per capire che di fronte a questi sintomi che si ripetono la diagnosi non può essere così semplice. Il problema di Elly, tuttavia, è una complicazione ulteriore del quadro clinico della sinistra progressista ufficiale. Avvengono due fatti nuovi durante la sua elezione a segretario del Pd.

Il primo è che stavolta non vince nei gazebo il candidato ufficiale, c’è una tale voglia di dare un segnale di cambiamento a quella classe dirigente che ha scelto di andare al governo per un decennio senza poter attuare una virgola del proprio programma che di fronte all’accordo fra i dirigenti e i big dei Dem che scelgono in massa Stefano Bonaccini, come un effetto paradosso, quella domenica mattina il popolo della sinistra che va a votare lo boccia e promuove Schlein. Secondo, le elezioni politiche sono lontane mentre il primo appuntamento alle urne, quello vicino, sono le Europee.

Questo significa che per la prima volta il Pd non può utilizzare l’effetto magnetico del partito più grande dell’opposizione per costruire alleanze, anche indigeste ai big, ma molto sentite dai parlamentari in carica negli altri partiti che combattono il governo Meloni perché profumano di seggi e possibile vittoria di massa. No, stavolta dopo aver chiesto il voto per la leadership la partita si gioca tutta dentro el mura del Nazareno, perché alle Europee c’è un sistema proporzionale e il Pd deve farcela da solo. Ed ecco che in questo quadro clinico impazzito Stefano Bonaccini può giocare un ruolo inedito nella storia del Partito democratico.

Ha due assi nella manica: con lui stanno schierati da tempi non sospetti ibig che avevano scommesso sulla sua vittoria e che numericamente hanno vinto la corsa alla segreteria nelle sezioni, le stesse con cui Schlein oggi deve fare i conti da segretario. E poi Bonaccini rappresenta il martire naturale di questo governo, che ha non solo scelto il generale Figliuolo al suo posto per ricostruire l’Emilia alluvionata ma ha lasciato intendere che la ragione è politica e che mentre di Elly Schlein non ha paura nessuno, di un Bonaccini munito di due e fischia miliardi di euro avevano paura tutti.

E così è nato il segretario per altri che divide il Pd e fa il verso a quella gestazione per altri che l’aveva spaccato in Parlamento. Ironia della sorte, l’acronimo di questa inedita carica è Spa, e sembra l’evoluzione naturale della famosa Ditta di bersaniana memoria che sta già ragionando di come pesare di nuovo nel Correntone che da qualche ora anima i dem.


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