Oggi al Senato l’ultimo voto sulla separazione delle carriere
Una volta archiviata la pratica in Parlamento si inizierà a pensare al referendum
Comunque la si pensi sulla separazione delle carriere dei magistrati, oggi sarà una giornata storica. Con l’ultima votazione delle quattro previste, il Senato approverà in via definitiva la riforma della Giustizia. Un risultato che governo e maggioranza si preparano a salutare come un successo. E per certi versi lo è. Benché il provvedimento non è certamente la panacea a tutti i mali – e non sono pochi – che affliggono la macchina della giustizia, portare a casa la separazione delle carriere e lo sdoppiamento del Csm, i cui componenti non saranno più eletti, ma sorteggiati, così da limitare il potere delle correnti della magistratura, è indiscutibilmente una conquista.
La contrarietà dell’Anm
Per il centrodestra che insegue queste misure dai tempi di Berlusconi e per chiunque entri in un’aula di Tribunale nella speranza di trovarsi dinanzi a un giudice realmente terzo ed equidistante da accusa e difesa. È come in una competizione sportiva: l’arbitro non è un collega né degli allenatori né degli atleti. E se è fisiologico che gran parte della magistratura, con in testa l’Anm, si opponga al nuovo assetto, insieme ad alcuni movimenti politici che hanno rinvigorito le file del partito delle toghe, stupisce la netta posizione di contrarietà assunta dal Nazareno.
Il forzato posizionamento del Pd
Un posizionamento che cozza sia con la linea assunta in passato dal Pd, sia con le idee di non pochi esponenti del partito. Sono in molti quelli che, alla luce della strategia estremamente dura imposta da Elly Schlein, della separazione delle carriere semplicemente evitano di parlare. E questo tanto più in vista del voto più importante di tutti, che non è quello di oggi. L’appuntamento clou sarà infatti il referendum che si terrà la prossima primavera. Solo allora si deciderà definitivamente circa le sorti del nuovo assetto costituzionale della magistratura.
Verso il referendum
E la consultazione è tanto più delicata perché politicizzarla è un rischio per tutti i partiti. Le verità è che appare molto difficile riuscire a non farlo. Chi si oppone alla riforma sarà chiamato a esporsi al fianco dell’Anm che ha da tempo promesso battaglia. Chi l’ha voluta, ovvero il centrodestra, dovrà invece difendere l’operato del governo che l’ha tradotta in fatti. Qualcuno ne uscirà vittorioso, qualcun’altro sconfitto. Non è un caso che il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, da giorni ripete che forse “il gioco non valeva la candela”. Il numero uno di Palazzo Madama prova anche a blindare anzi tempo il governo chiarendo che Giorgia Meloni non ha intenzione di “legare il proprio consenso a un qualsivoglia referendum. Il referendum sarà sulla materia del referendum, non è un referendum né sul Governo né sulla magistratura”.
L’influenza del caso Garlasco
Una linea prudente tesa a smorzare l’attenzione e l’eco della consultazione popolare sulla separazione delle carriere. Difficilmente, però, sarà così. Sia per la politica che per le toghe, chiamate a fare i conti con la crescente attenzione mediatica e dei cittadini proprio sulla macchina della giustizia. Il ripiombare del caso di Garlasco sulla scena, con magistrati che fanno le pulci a pm in pensione e con il venire a galla di tutta una serie di forzature ed errori che hanno portato le sentenze nei confronti di Alberto Stasi a contraddirsi, non aiuterà di certo il partito dei giudici al referendum
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