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Sicilia, produzione di limoni dimezzata. La Cia: Agricoltura 4.0 e più tutela del made in Italy

di Angelo Vitale -


In Sicilia la produzione di limoni sarà quest’anno quasi dimezzata. Il comparto vede l’innovazione e una nuova visione del lavoro nei campi come gli unici strumenti per combattere la minaccia del climate change e chiede al Governo una reale tutela contro la concorrenza dei Paesi stranieri. E` appena partita la campagna di raccolta dei limoni nell’area orientale dell’isola e per i produttori si preannuncia già una stagione in perdita. “Una produzione quasi dimezzata”, anticipa Enzo Livoti, produttore di verdello della zona di Barcellona pozzo di Gotto. Per non parlare della pezzatura dei prodotti, “addirittura più piccola rispetto a un mese fa, che renderà ancora più difficile piazzare il prodotto sui mercati”, aggiunge Salvatore Leotta, agricoltore della zona ionica intorno ad Acireale.

I due rappresentanti della Cia Sicilia Orientale sottolineano in una nota come, per salvare la filiera, sia necessaria una programmazione che coinvolga trasversalmente enti ed istituzioni. A partire dalla questione del cambiamento climatico in atto, che sta trasformando l`agricoltura. “Hanno pesato le due sciroccate di maggio scorso – spiega Leotta – e fino ad oggi, la continuativa mancanza di piogge stagionali. Siamo già novembre, da mesi non cade una goccia d`acqua nella campagne. Di fatto le piante si nutrono dei loro stessi frutti”. “Abbiamo già pronta una proposta al Governo regionale per destinare i fondi del PSR Sicilia alle imprese anche per un adeguamento tecnologico con tecniche e strumentazioni innovative – aggiunge Giuseppe Di Silvestro, componente della giunta della Sicilia Orientale – scommettere sull`agricoltura 4.0 è diventato prioritario per la stessa sopravvivenza del settore, agrumicolo in particolare”.

A livello nazionale le richieste al Governo restano quelle di garantire alla produzione di limoni pari opportunità e strumenti per contrastare la libera concorrenza dei Paesi Extra Ue e cioè, da un lato una reale riduzione del costo del lavoro nei campi, oggi superiore di almeno due terzi, che non ricada naturalmente sui lavoratori, e dall`altro azioni di controllo affinché lo Stato si assicuri che in Italia entri solo merce che rispetti trattamenti fitosanitari consentiti.

E sull`aspetto fitosanitario entra in gioco un terzo fattore di criticità: l`emergenza “mal secco”. “Una malattia fungina che minaccia centinaia di agrumeti soprattutto della zona ionica – avverte Livoti – un`espansione preoccupante dovuta, oltre ai costi di prevenzione, anche alla presenza di tanti terreni abbandonati, che ne sono vettori, e alla mancanza di un`adeguata manutenzione”.


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