Esteri

Trump al contrattacco: “Mi serve un’altra incriminazione per vincere”

di Ernesto Ferrante -


Il tycoon para il colpo e passa al contrattacco. “Nonostante il fatto che sono dovuto andare in una Washington sporca, decadente e molto pericolosa e che poi sono stato arrestato dal mio avversario politico il ‘corrotto Joe Biden’, che sta perdendo con me nei sondaggi, è stata una buona giornata!”. Lo ha scritto Donald Trump sul suo social media Truth a poche ore dalla comparizione in tribunale, a Washington, per la formalizzazione della sua terza incriminazione.
In aula l’ex presidente era seduto a pochi metri dal super procuratore Jack Smith, il suo grande accusatore, che lo ha incriminato non solo per le carte segrete a Mar-a-Lago ma anche per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
“Oggi è un giorno triste per l’America. Contro di me è in atto una persecuzione, una persecuzione condotta da un avversario politico contro qualcuno che è avanti nei sondaggi. Non possiamo permettere che questo accada”, ha detto “The Donald” una volta lasciato il Palazzo di Giustizia, in una dichiarazione resa alla stampa, sotto la pioggia, sulla pista dell’aeroporto Reagan.
Il repubblicano ha pronunciato poche parole nel rispondere alle domande di rito del magistrato Moxila Upadhyaya, declinando le sue generalità e confermando di non aver assunto farmaci o sostanze stupefacenti. Alla lettura delle imputazioni a suo carico, si è dichiarato non colpevole. Il procuratore federale l’ha definito “sir” e non “presidente”. Il tutto è durato appena 27 minuti.
Il giudice ha fissato la prossima udienza per il 28 agosto, alle 10 di mattina. “Mi serve un’altra incriminazione per vincere”, ha affermato ironicamente Trump rivolgendosi alla sua base.
Secondo l’ultimo sondaggio della Cnn, l’elettorato del Grand old party è ancora saldamente schierato con lui. Circa il 69% dei repubblicani o simpatizzanti dell’area conservatrice ritiene che la vittoria di Biden sia stata illegittima. Una percentuale in aumento rispetto al 63% di inizio anno. Il 39% di questi sostiene che vi siano prove concrete che le elezioni siano state truccate, mentre il 30% ha soltanto il “sospetto”.
La corsa del ciclone newyorkese continua. Anche perché, tecnicamente, la Costituzione americana non impedisce a un condannato di candidarsi.

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