Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Un fenomeno in espansione: gli uffici giudiziari che gestiscono le aziende

di Michele Gelardi -


Il più grande gruppo aziendale italiano si chiama “amministrazione giudiziaria”. I gestori degli innumerevoli rami sono gli uomini d’affari più felici al mondo, poiché non rischiano di fallire gli obiettivi, essendo il fallimento il target prevedibile, se non previsto, della loro gestione. La celeste beatitudine di codesti amministratori non può essere turbata da alcun accidente: non sono gravati da alcun rischio d’impresa; il compenso delle loro impareggiabili prestazioni, con il corollario di prebende e benefit vari, è garantito in ogni caso; e non hanno alcun vincolo “conservativo”, potendo anche alienare rami d’azienda. Stiamo parlando dell’amministrazione giudiziaria che ubbidisce alla logica della prevenzione e riguarda aziende in vita, non già della curatela fallimentare che interviene “mortis causa”. Ci dobbiamo chiedere se tanta reale o supposta prevenzione sia giustificata, in uno Stato di diritto fondato sui valori della democrazia occidentale.
Dovrebbe essere ovvio che la prevenzione presuppone un pericolo e la misura restrittiva, personale o reale, si giustifica solo nel caso in cui il pericolo non possa essere altrimenti neutralizzato. Come la carcerazione preventiva degli indagati dovrebbe essere disposta solo in limitatissimi casi estremi; così l’amministrazione giudiziaria di aziende in vita dovrebbe essere l’extrema ratio. Ma i fatti sono ben diversi. In Italia si va in carcere prima della sentenza definitiva e spesso da innocenti: allo stesso modo, le aziende vengono portate al dissesto da amministratori dell’ultima ora, per esigenze ”cautelari”. L’Italia è ammalata di prevenzione maligna, chiamata benevolmente “cautela”. Il morbo della “cautelite” miete molte vittime tra le persone, ma anche tra le aziende.
Non è difficile capire che il cambio coattivo dell’organo amministrativo è un trauma molto grande per la creatura vivente chiamata impresa, considerata negli uffici giudiziari alla stregua di una cosa inerte. Ad esempio, una scuderia di cavalli da corsa, gestita da professionisti del settore, ha un determinato valore; ma basta un mese di semplice rodaggio della nuova macchina gestionale, perché i cavalli diventino ronzini; il valore di quell’azienda in mano agli amministratori giudiziari si azzera immediatamente. Pressappoco la stessa cosa accade negli altri settori. Magari l’agonia è più lenta, ma l’esito prevedibile non è molto dissimile. L’amministratore giudiziario sarà pure un esperto di norme e procedure, ma è certo che non ha minimamente contribuito alla crescita di quella realtà aziendale nella quale viene catapultato ex abrupto. Anzi la sua totale estraneità alla dinamica storica di quell’impresa è una condizione essenziale per la nomina. Ebbene: non è stata certamente la preparazione teorica, bensì lo spirito pratico, diciamo pure il “naso” dell’imprenditore, ciò che ha permesso di sviluppare quella creatura vivente, che oggi deve essere governata da un esperto di carta. Come la pianificazione ex ante non può sostituire il successo di mercato, valutabile solo ex post; così l’esperto di programmi di carta non può sostituire il creatore dei successi di mercato, sperimentati nel tempo. È evidente poi che gli uffici giudiziari sono i meno adatti alla gestione degli affari economici, non foss’altro, per la lentezza delle procedure decisionali e l’impossibilità di assumere rischi imprenditoriali, in relazione alle mutevoli esigenze di mercato. E allora quali impellenti e cogenti esigenze “cautelari” possono giustificare un trauma siffatto per l’impresa e il lavoro? E perché mai un imprenditore non colpevole (presunto) deve essere estromesso dalla gestione della sua impresa? Emblematico il caso dell’ILVA: i Riva furono estromessi dalla gestione della propria azienda e l’amministrazione giudiziaria more solito condusse al dissesto una delle più grandi realtà lavorative d’Italia, aprendo la strada alla fallimentare gestione di Mittal. Ma a distanza di anni Il Giudice ha dichiarato che “il fatto non sussiste”; ergo non c’erano nemmeno le supposte esigenze cautelari.


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