“Ignoto 1 non sono io”: per Bossetti una verità da riscrivere?
“Ignoto 1 non sono io”, continua a ripetere Massimo Bossetti. Eppure nel suo caso la scienza, e di conseguenza la giustizia, non hanno mai avuto dubbi: il muratore di Mapello è l’assassino di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata senza vita in un campo di Chignolo d’Isola, il 26 febbraio 2011.
Il delitto di Yara è uno di quei grandi casi di cronaca nera che hanno sconvolto l’Italia, prima con il fiato sospeso per la sorte della ragazzina, poi, alla scoperta del cadavere, con il terrore che un mostro fosse libero di agire nella Bergamasca. E quando gli inquirenti, che brancolavano nel buio nella risoluzione dell’inchiesta, decisero di avviare un esperimento scientifico mai tentato prima, la popolazione rispose in massa, sottoponendosi volontariamente al prelievo del tampone salivare. Perché l’unico modo per rendere giustizia alla piccola Yara e alla sua famiglia era dare un nome all’assassino che, mentre massacrava la vittima a coltellate in quel campo buio e freddo, aveva lasciato la sua firma indelebile: copiose tracce del suo Dna sugli slip tagliati e i leggings di Yara, dalla cui analisi fu isolato il codice genetico sconosciuto, denominato “Ignoto 1”.
Per dare un nome all’assassino, dunque, i genetisti risalirono a ritroso al Dna, prelevando tamponi salivari a decine di migliaia di persone della zona, finché a luglio 2011 uno dei campioni portò le indagini sulla pista giusta. Il profilo genetico di Damiano Guerinoni, un giovane frequentatore della discoteca vicina al campo dove era stato trovato il corpo di Yara, risultava simile a quello estrapolato dal Ris sugli indumenti della vittima, legato al killer attraverso la linea paterna. Non era Damiano il responsabile, ma un individuo di sesso maschile appartenente al ramo Guerinoni. Si arrivò così a Giuseppe Guerinoni, il cui corpo fu riesumato e, dalle analisi, emerse chiaramente che era il padre di Ignoto 1. L’uomo, morto a Gorno nel 1999, era stato autista di una corriera che percorreva la Val Seriana.
Così il lavoro degli investigatori si concentrò sulla ricerca delle donne che erano venute in contatto con il conducente del bus e che potevano aver avuto una relazione con lui. Fu prelevato il Dna di eventuali amanti e dal profilo genetico di Ester Arzuffi fu accertato che la signora era la madre del killer. Con lo stratagemma di un finto posto di blocco per controlli stradali, il 15 giugno 2014 il figlio di Ester Arzuffi, Massimo Bossetti, venne fermato per l’alcoltest. E dall’analisi della saliva sul boccaglio, il Ris risalì al Dna, che combaciava perfettamente a quello di “ignoto 1”. Il giorno dopo, il muratore venne arrestato, con l’accusa di aver ucciso Yara al culmine di un’aggressione sessuale, sebbene l’autopsia sul corpo della ragazzina, in avanzato stato di decomposizione, non ha mai accertato lo stupro.
Oltre alla prova regina, contro Bossetti, che fin dal primo momento si proclama innocente, ci sono le immagini delle telecamere della palestra frequentata da Yara, che avevano ripreso il suo furgone passare ripetutamente davanti all’edificio proprio nel pomeriggio della scomparsa, le celle telefoniche che lo collocano sul posto, e alcune fibre sintetiche dei sedili del suo furgone risultarono compatibili con quelle trovate sugli indumenti della tredicenne.
Il muratore, inoltre, non aveva un alibi, né era stato in grado di ricostruire i suoi spostamenti nel giorno in cui si persero le tracce della vittima. Un impianto accusatorio solido, basato sul Dna e costellato di indizi in grado di chiudere il cerchio e convincere i giudici di tutti e tre i gradi di giudizio: per Bossetti la condanna è l’ergastolo. La difesa del muratore, però, non si è mai arresa e continua a sollevare dubbi sulla manomissione delle prove e sull’analisi del Dna, accusando addirittura gli inquirenti di aver creato artificialmente in laboratorio la prova genetica che ha incastrato Bossetti. Al punto da denunciare la pm di Bergamo Letizia Ruggeri, titolare del caso, alla Procura di Venezia, per aver alterato dei reperti biologici. Il magistrato è stato indagato, e subito archiviato, per frode processuale e depistaggio in relazione alla sua decisione di spostare 54 campioni biologici, in cui c’erano tracce miste di vittima e assassino, dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del Tribunale di Bergamo, sprovvisto di congelatori per la conservazione delle provette a 80 gradi sottozero. Una decisione che la Ruggeri ha preso solo a seguito della condanna in via definitiva di Bossetti in Cassazione.
La stessa Cassazione, tra l’altro, aveva già dichiarato legittime le analisi scientifiche, effettuate sotto forma di accertamento tecnico irripetibile, che collegarono il muratore al Dna sugli slip di Yara. Di quell’indagine sono ancora disponibili “copia del dvd contenente le immagini fotografiche ad alta risoluzione effettuate dal Ris di Parma relative a tutti i reperti dagli stessi analizzati; copia di tutti i tracciati elettroferografici prodotti dal Ris di Parma, prima, e dai consulenti tecnici Previderé e Grignani poi, relativi ai campioni di riferimento della vittima; i risultati di tutte le caratterizzazioni genetiche effettuate (campioni di riferimento e tracce), anche in forma anonima, su qualsivoglia supporto, sia esso cartaceo o digitale”. Prove che ora sono state messe a disposizione della difesa, che le esaminerà alla ricerca di un qualsiasi “elemento nuovo” in grado di aprire la strada a un’eventuale revisione.
Torna alle notizie in home