Cinema

Successo per Il Mago del Cremlino. Due leader allo specchio.

di Ivano Tolettini -


Ancora una volta il cinema, più della politica, riesce a mettere a nudo le maschere del potere. In questa stagione due opere, a distanza, dialogano tra loro come in uno specchio deformante: Il Mago del Cremlino di Olivier Assayas, accolto con successo all’82ª Mostra di Venezia, e The Apprentice, che racconta la scalata di Donald Trump. Da una parte il ritratto dell’autocrate Vladimir Putin che riflette lo spirito imperiale del popolo russo, dall’altra la parabola di un leader democraticamente eletto che però ha messo in crisi il sistema stesso che lo ha portato al potere. Il film tratto dal romanzo di Giuliano Da Empoli, diretto con rigore e interpretato da un sorprendente Jude Law, non racconta soltanto Putin ma il modo in cui il consenso in Russia è stato fabbricato e consolidato. Il “mago” che tesse i fili è l’uomo dell’immaginario, il consigliere che costruisce illusioni collettive trasformandole in realtà politica. La storia sul grande schermo è raccontata attraverso Vadim Baranov, interpretato da un bravo Paul Dano, consigliere politico ispirato a Vladislav Surkov, l’ingegnere della propaganda moscovita. Un racconto cupo, claustrofobico, in cui ogni corridoio del Cremlino sembra custodire la verità più oscura: il potere che si perpetua attraverso il controllo delle emozioni di un intero popolo. The Apprentice, uscito mesi fa, si muove in tutt’altra direzione: le luci abbaglianti degli anni Ottanta americani, la spavalderia di un giovane imprenditore, l’ascesa scandita da televisione e affari. Qui il potere non viene imposto dall’alto, ma costruito dal basso, mattone su mattone, parola dopo parola, finché il personaggio diventa più grande dell’uomo. È il ritratto di una democrazia che, pur nel suo apparato di regole, non è immune dal fascino di un leader che usa il linguaggio dello spettacolo per conquistare consenso. Due film, due estetiche, due mondi. Ma al centro c’è sempre il rapporto tra leader e popolo. In Russia il popolo è specchio dell’autorità, chiamato a incarnare un destino imperiale che travalica i singoli individui. Negli Stati Uniti il popolo è platea, pubblico televisivo che applaude o fischia, sedotto dalla performance. In entrambi i casi non è protagonista, ma massa che reagisce, sfondo necessario per l’ascesa del capo.
La filosofia politica offre qui le sue chiavi di lettura. Machiavelli avrebbe riconosciuto nella parabola russa l’arte della paura come strumento di stabilità. Il moralista spagnolo Gracián avrebbe sorriso davanti alla maschera del tycoon che si fa sostanza. Hobbes avrebbe visto nell’energia brutale di un leader americano l’incarnazione del Leviatano moderno. Al Lido il pubblico ha salutato con favore Il Mago del Cremlino, colpito da una regia che trasforma la cronaca in tragedia universale e da un Jude Law che scava nel cuore del potere con intensità inattesa. Ripensando a The Apprentice, il confronto diventa inevitabile: due facce di una stessa medaglia, due modi di costruire il comando nell’età globale.
Resta un interrogativo che il cinema non scioglie ma rilancia: fino a che punto i leader sono lo specchio dei popoli che li esprimono? E quanto siamo spettatori, e quanto invece complici, nella loro ascesa?


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