Politica

Palestinesi e Hamas: due realtà diverse che il mondo – spesso – confonde

di Priscilla Rucco -


La confusione tra palestinesi e Hamas è una delle semplificazioni più pericolose del dibattito contemporaneo. È come dire che l’Italia si identifica con la Lega o, che la Francia, si identifica completamente con il “Rassemblement National”. Un errore che non solo distorce la comprensione dei fatti, ma finisce per negare la dignità e la diversità di un intero popolo. I palestinesi sono un popolo di circa 5,3 milioni di persone che vivono nei Territori Palestinesi (Cisgiordania e Striscia di Gaza), più altri milioni sparsi nel mondo come rifugiati o cittadini di altri paesi. La loro storia moderna inizia con la fine dell’Impero Ottomano e il Mandato Britannico in Palestina (1920-1948), quando la terra che oggi comprende Israele e i Territori Palestinesi era abitata da una maggioranza prettamente araba.

La creazione di Israele

Con la creazione di Israele nel 1948 e le successive guerre arabo-israeliane, centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a lasciare le loro case e terre. Alcuni finirono nei campi profughi nei paesi vicini, altri rimasero nei territori che oggi chiamiamo Cisgiordania (sotto controllo giordano fino al 1967) e Striscia di Gaza (sotto controllo egiziano fino al 1967). I palestinesi non possono essere considerati un “blocco monolitico”. Ci sono cristiani e musulmani, laici e religiosi, commercianti e contadini, intellettuali e operai. Ci sono quelli che vivono a Ramallah, capitale de facto della Cisgiordania, e quelli che crescono nei vicoli stretti e distrutti di Gaza. Ci sono palestinesi con cittadinanza israeliana (circa due milioni) che vivono una realtà completamente diversa dai loro connazionali nei Territori Occupati. Dal 1994, dopo gli Accordi di Oslo, esiste un’entità chiamata Autorità Palestinese  – AP -, guidata dal movimento Fatah di Yasser Arafat prima e di Mahmoud Abbas poi. L’AP controlla parti della Cisgiordania e, almeno sulla carta, dovrebbe rappresentare tutti i palestinesi nelle negoziazioni di pace con Israele. Fatah, il movimento di liberazione nazionale palestinese fondato nel 1958, ha dominato la scena politica palestinese per decenni. La sua visione, almeno ufficialmente, prevede una soluzione a due stati: Israele e Palestina che convivono fianco a fianco. Ma il sostegno popolare per Fatah è calato negli anni, soprattutto per la percezione di corruzione e per l’assenza di progressi tangibili verso l’indipendenza. Hamas entra in scena solo nel 1987, quarant’anni dopo la creazione di Israele, durante la Prima Intifada. Nasce come costola dei Fratelli Musulmani e rappresenta una svolta: mentre Fatah aveva progressivamente abbracciato una prospettiva più secolare e diplomatica, Hamas porta una visione islamista e inizialmente più intransigente. Negli anni Novanta e Duemila, mentre l’Autorità Palestinese negoziava con Israele senza ottenere risultati concreti per la popolazione, Hamas costruiva una rete capillare di servizi sociali: ospedali, scuole, assistenza ai poveri. In una società devastata da decenni di conflitto e occupazione, questi servizi concreti parlavano in maniera più forte dei discorsi diplomatici.

La vittoria di Hamas nelle elezioni

Nel 2006, Hamas vince le elezioni parlamentari palestinesi con il 44% dei voti, battendo Fatah. Non è stata una vittoria schiacciante, ma è stata democratica e trasparente, riconosciuta anche dagli osservatori internazionali. Tuttavia, la comunità internazionale – guidata da Stati Uniti, Unione Europea e Israele – rifiuta di riconoscere il governo Hamas, imponendo sanzioni e isolamento. Quello che succede dopo il 2006 è una tragedia nella tragedia. I tentativi di formare un governo di unità nazionale falliscono, e nel 2007 scoppia una vera e propria guerra civile palestinese. Hamas prende il controllo militare di Gaza, mentre Fatah mantiene il controllo della Cisgiordania con l’appoggio israeliano e internazionale. Da quel momento, i palestinesi si ritrovano con due governi: l’Autorità Palestinese di Abbas in Cisgiordania e Hamas a Gaza.

Una divisione passata, ma anche attuale

È una divisione che dura ancora oggi e che indebolisce enormemente la causa palestinese. Come può un popolo negoziare la propria indipendenza quando i suoi rappresentanti non si parlano nemmeno? La Striscia di Gaza, 360 chilometri quadrati per 2,3 milioni di abitanti, è diventata il simbolo di questa confusione. Quando si parla di “attacco da Gaza” o “risposta a Gaza”, spesso si dimentica che stiamo parlando di uno dei territori più densamente popolati al mondo, dove la metà degli abitanti ha meno di 18 anni. Hamas controlla Gaza, questo è vero. Ma controllare Gaza significa anche gestire ospedali al collasso, scuole sovraffollate, un’economia soffocata dal blocco israeliano ed egiziano. Hamas è certamente responsabile delle sue azioni militari, ma ridurre l’intera popolazione di Gaza a “Hamas” è come dire che tutti i berlinesi dell’Est erano la Stasi. I gazawi – così si chiamano gli abitanti di Gaza – si svegliano ogni mattina con problemi molto concreti: poche ore di elettricità al giorno, acqua spesso non potabile, impossibilità di viaggiare liberamente. Per molti di loro, la politica è un lusso che non possono permettersi. La realtà palestinese è molto più ricca di quanto raccontino i titoli di giornale. Ci sono partiti laici come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ci sono movimenti giovanili che criticano tanto Hamas quanto Fatah, ci sono donne che lottano per i diritti nelle società tradizionali, ci sono artisti che usano l’arte per raccontare la loro storia. A Ramallah fioriscono caffè e centri culturali dove giovani palestinesi discutono di futuro con una normalità che sorprenderebbe molti. A Betlemme, cristiani palestinesi custodiscono tradizioni millenarie mentre lottano con le difficoltà dell’occupazione. Sono voci che raramente arrivano sui nostri giornali, schiacciate tra la violenza e la geopolitica. Confondere i palestinesi con Hamas non è solo un errore giornalistico: è una trappola che impedisce di capire davvero quello che sta succedendo. Quando diciamo “Hamas ha attaccato”, stiamo parlando di decisioni prese da un’organizzazione politico-militare. Quando diciamo “i palestinesi hanno attaccato”, stiamo implicando che un intero popolo sia responsabile delle azioni di alcuni. Questa confusione ha conseguenze concrete. Giustifica collettivamente punizioni che colpiscono civili innocenti. Impedisce di vedere le divisioni interne alla società palestinese. Rende più difficile immaginare soluzioni che vadano oltre la logica militare.

Comprendere per capire

Capire la differenza tra palestinesi e Hamas non significa giustificare o condannare nessuno. Significa semplicemente vedere la realtà per quella che è: complessa, sfumata, umana. I palestinesi sono un popolo con aspirazioni nazionali legittime, rappresentato da diverse forze politiche spesso in contrasto tra loro. Hamas è una di queste forze, importante sì, ma non l’unica. Riconoscere questa complessità non risolve il conflitto, ma è il primo passo per uscire dalla logica del “tutti contro tutti” che ha dominato questa terra per troppi decenni. Perché alla fine, dietro ogni acronimo, dietro ogni titolo di giornale, ci sono persone che meritano di essere viste per quello che sono: esseri umani con sogni, paure e speranze, non molto diverse dalle nostre.


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