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Economia

Giorgetti e la necessità di “contribuire alle spese dello Stato”

Le parole del ministro a Ostia e il sogno di una rivoluzione

di Giovanni Vasso -


Che se poi uno fosse cattivo, gli parrebbe d’aver rivisto, redivivo nei panni di Giancarlo Giorgetti, la buon’anima di Tommaso Padoa Schioppa. Ricordate? “Le tasse sono una cosa bellissime”. Ecco, Giorgetti l’ha declinata diversamente: “Contribuire alle spese dello Stato non deve essere visto come un peso ma come un atto di cittadinanza”. Come se fosse semplice, nello Stato in cui il welfare non funziona ma, in compenso, il Fisco c’ha più occhi di Gerione e più fame di Tantalo. Eppure, dice Giorgetti, bisogna cambiare mentalità. Perché (oggi) la forza dello Stato passa attraverso la sua sicurezza economica.

Giorgetti e le spese dello Stato

Il ministro all’Economia è intervenuto ieri all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza a Ostia. L’assist, però, glielo ha dato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Che ha ricordato come “l’economia irregolare” abbia “dimensioni significative”. Fin troppo se, come ha detto l’inquilino di Palazzo Koch, “quella non osservata nel 2023 generava un valore aggiunto pari a 218 miliardi di euro e al 10% del Pil”. Un problema (gravissimo) che ha fin troppe ripercussioni nella vita quotidiana delle famiglie e delle imprese. Non è solo questione di malcostume. Il problema è che se chi può evade, elude, dribbla tasse, imposte ed Erario non è furbo. Ma, più semplicemente, si arricchisce sulle spalle (e sulla carne viva) degli italiani onesti, di chi paga fino all’ultimo centesimo. Il guaio, però, è che ogni ragionamento sull’evasione, in questo sciagurato Paese di guelfi e ghibellini, diventa ideologico. E quindi si banalizza, si depotenzia, finisce in fumo.

Il nodo delle tasse

A fronte di una premessa simile, il ministro Giorgetti ha ribadito che “dobbiamo lavorare tutti insieme per rafforzare un’economia che non si limiti a produrre ricchezza, ma che la distribuisca in modo giusto”. Ma non basta: “Un’economia in cui contribuire alle spese dello Stato – asserisce Giorgetti – , soprattutto in momenti complicati come quello che stiamo attraversando, non sia visto come un peso, ma come un atto di cittadinanza”. Più facile a dirsi che a farsi nel Paese che ha una pressione fiscale da socialdemocrazia scandinava e servizi fin troppo “mediterranei”. “Un’economia sana, una finanza pulita sono le condizioni per garantire benessere e sviluppo. È compito delle istituzioni vigilare, ma è compito della società intera contribuire”, incalza Giorgetti: “Perché la legalità economica si alimenta anche attraverso l’educazione, la cultura, la consapevolezza. È una responsabilità collettiva”.

Bilancio pubblico è legalità

Ma non è finita qui. Già, perché secondo il titolare del Mef “legalità economica vuol dire proteggere il bilancio pubblico” e che la “sicurezza economica è una condizione per la libertà”. La visione del ministro è netta: “Viviamo in un contesto in cui i crimini economici non possono più essere considerati semplicemente delle frodi o evasioni fiscali. I crimini economici sono diventati delle vere e proprie minacce alla stabilità di interi sistemi democratici. Sono sofisticati, trasversali, tecnologicamente avanzati”.  E dunque la voglia di una rivoluzione culturale: “Ecco perché è tempo che il concetto di legalità e sicurezza economica venga compreso nella sua accezione più ampia, che riguarda tutti noi come cittadini, come consumatori, come risparmiatori. È un concetto culturale, prima ancora che economico”. Chiaramente, però, il pensiero di Giorgetti non è incasellabile in una sorta di socialismo di ritorno.

Il buon senso del Mef

È, semmai, una questione di buon senso: “Quando le risorse pubbliche vengono spese correttamente, quando le tasse vengono pagate da tutti in modo equo, quando le imprese operano in un contesto libero da concorrenza sleale e da infiltrazioni criminali, allora il sistema funziona. E cresce la fiducia. Dove c’è fiducia, si investe, si innova, si assume, si guarda al domani”. E, detto tra noi, si ha soprattutto di che pagare il debito pubblico. Si avrebbe, dunque, tanto spazio fiscale da potersi incolonnare alle battaglie che la Germania, ora e in splendida solitudine, porta avanti a colpi di burocrazia Ue per blindare un primato che traballa. Più che una rivoluzione, quello di Giorgetti è un sogno.


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