Attualità

Aborto: l’ultima frontiera di un dibattito che mina i diritti delle donne

di Eleonora Ciaffoloni -


Non si tratta solo di un dibattito sull’aborto, sulle modalità e sulle motivazioni attorno a esso. Stavolta si tratta di una messa in dubbio di un diritto, che ormai a noi (forse, stolti) sembrava acclarato. Un diritto che è stato messo in dubbio durante la presentazione della rivista Biopoetica, organizzato a Montecitorio dal Centro studi Machiavelli su invito della Lega e del deputato Simone Billi –che ha prenotato l’aula – ma che non era presente al convegno. Le argomentazioni, tra le più anacronistiche e, lasciatemelo dire, inappropriate, sono state pronunciate dagli oratori del centro studi. Facendo nomi e cognomi: Marco Malaguti, “articolista e blogger presso varie testate di area sovranista” secondo sua stessa definizione, e Maria Alessandra Varone, dottoranda in Filosofia dell’università Roma Tre.

Anno domini 2024, per i due intervenuti – e secondo i contenuti della rivista fresca di stampa – l’interruzione di gravidanza rappresenta “un diritto inalienabile”, ma che va concepito in senso lato, “come quello di uccidere, di rubare, di ferire”. E così, per gli oratori “le donne dovrebbero prendere coscienza dei possibili esiti prima di un rapporto sessuale: se si agisce è necessario accettare le conseguenze”. Chi la fa l’aspetti, quindi? Sembra proprio di sì, perché, come sentiamo dire spesso – a chi però non ci si è mai trovato – “te la sei cercata”. E quindi anche i figli te li cerchi, anche quando non li vuoi. Anche quando sei stata vittima di uno stupro. Perché per la dottoranda Varone “il caso dello stupro è un finto dilemma morale”, ed è invece “un caso delicato, perché non c’è uno che perde e l’altro che guadagna: il feto perde e la madre guadagna, in termini puramente logici”. La madre vince quindi: ci sarebbe da chiedere cosa, a Varone, una donna possa guadagnare dall’esito di uno stupro. Non ci crederemmo, se non fosse vero, ma il buco è peggio della toppa: “Nulla toglie – continua Varone – che questo bambino venga poi dato in adozione, nulla toglie che questa madre possa portare avanti la sua vita con lui: questo non l’autorizza ad ucciderlo, perché di questo si tratta e bisogna aver il coraggio di usare le parole consone”. Se subisci uno stupro, quindi, devi pagarne le conseguenze: perché il feto è più importante della vita di una donna. Donna che, sempre secondo Varone, non può decidere da sola del suo destino, perché la decisione è anche diritto del padre e quindi sarebbe “un uso improprio della libertà”.

“Assurdo” è stata la prima esclamazione alla lettura di queste dichiarazioni. Ma di assurdo c’è ancora altro. Di assurdo c’è il dibattito politico che si è creato attorno a questa conferenza. Perché sono partiti gli attacchi (stavolta di turno alla Lega), a cui hanno risposto le smentite e a cui sono seguiti gli scaricabarili. Ma è davvero così importante trovare l’ennesimo modo di fare campagna elettorale? Non me ne vogliano gli attaccabrighe amanti del conflitto destra sinistra. Qui il problema, davvero molto grande, non è “chi” organizza un convegno o di “chi” viene invitato – non che se ne faccia un plauso, chiaramente -, ma ciò che da questo summit di cervelli ne è emerso. Perché ne è venuta fuori una fotografia – l’ennesima – di una parte di Italia che ancora non riconosce alla metà della sua popolazione dei diritti inalienabili. Un’Italia che percepisce la donna non solo meno importante dell’uomo e meno importante di un feto, ma anche inferiore al riconoscimento del dolore, al rispetto della dignità e alla propria autodeterminazione. Una donna che quando agisce deve rispondere di ciò che fa, ma che deve farlo anche quando sono gli altri a decidere per lei. Per il suo feto, per il suo utero, per la sua vita.


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