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Ansia da recessione: inflazione giù ma i bond Usa fanno paura

di Giovanni Vasso -

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Ansia da recessione ma l’inflazione scende ancora. A giugno, l’indice dei prezzi al consumo ha registrato una brusca frenata: dal 7,6 per cento di maggio, si è passati nell’arco di un mese al tasso del 6,4%. Finalmente una buona notizia. Nì. Perché, da un lato, i commercianti denunciano che la strada verso la ritrovata normalità è ancora in salita e che in tre anni si rischia di perdere dieci miliardi di potere d’acquisto. Dall’altro, invece, salgono i timori per una recessione in tutto l’Occidente. Che, secondo la maggioranza degli analisti non ci sarà. Ma gli esperti, però, non sembrano convincere gli hedge fund che, invece, hanno cominciato a disinvestire rispetto ai titoli di Stato degli Stati Uniti.
Ieri mattina, l’Istat ha pubblicato i dati legati all’inflazione. Che perde 1,2% percentuali nell’arco di un mese. A fermare l’aumento dei prezzi è, ancora una volta, la stabilizzazione dei prezzi dei beni energetici, quelli non regolamentati fanno registrare un lusinghiero capitombolo: da +20,3% a +8,4%. Con l’energia a basso costo, calano anche i prezzi degli alimentari e dei prodotti ad alto consumo. L’inflazione che grava sul carrello della spesa si riduce a +10,5%. Un tasso che rimane altissimo ma che è in controtendenza rispetto alle fiammate degli ultimi mesi. L’inflazione, dunque, inizia a calare ma non abbastanza da scongiurare l’incubo recessione. L’analisi di Confesercenti è netta: “Il calo dell’inflazione procede a un ritmo insufficiente: per l’anno in corso, secondo le nostre stime, il tasso di aumento dei prezzi dovrebbe attestarsi ancora intorno al +5,7%, restando sopra il +2% almeno fino alla fine del 2025”. Secondo l’organizzazione dei commercianti, stiamo vivendo sul filo del rasoio e rischiamo di trovarci, all’orizzonte, “un triennio di alta inflazione, che rischia di bruciare 10 miliardi di euro di potere d’acquisto delle famiglie, con conseguente impatto negativo sui consumi”. Segue, poi, il consueto appello alla Bce affinché dia respiro alle economie europee perché non si cada tutti in recessione. Ma Christine Lagarde, da quell’orecchio lì, non ci sente. E se una certezza c’è, è che ancora una volta saranno alzati ulteriormente i tassi di interesse nella riunione prevista per questo mese. Anche perché Lagarde è confortata nella sua visione dal fatto che la maggior parte degli analisti prevede un rallentamento della crescita ma allontana lo spettro della recessione. Questa posizione, per esempio, è condivisa dagli economisti dell’Ocse secondo cui l’economia globale per il 2023 salirà del 2,7% mentre nel 2024 la crescita si stabilizzerà attorno al 2,9%. Il contesto, però, rimarrà fragile. E, secondo un’indagine trimestrale di Ifo e Swiss Economic Policy Institute, l’inflazione mondiale resterà alta (7%) nel 2023 dando lenti segnali di discesa il prossimo anno (6%) e quello ancora dopo (4,9%). Se il tasso di inflazione resterà così alto, le banche centrali potrebbero continuare a rialzare i tassi di interesse, seguendo una strategia che finora sta dimostrando come la cura, talora, possa far paura quasi quanto il male. Chi può, tenta di allontanarsi da questi rischi.
Uno di questi è dettato dal fatto che la curva di rendimento dei titoli Usa è invertita. In pratica, si pagano interessi su prestiti brevi ma a lungo periodo non conviene esporsi perché il rischio è quello di perderci. Goldman Sachs ha confermato che l’allarme lanciato ad aprile è tuttora in corso sullo scenario americano. E gli hedge fund hanno iniziato a scaricare il Tesoro Usa. La loro esposizione nei confronti del governo americano non è mai stata bassa quanto quella di oggi. Per gli analisti, la torsione della curva di rendimento è il segnale della tempesta che sta arrivando: quella della recessione mentre l’inflazione cala ma non del tutto.

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