L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Politica

Astensione decisiva. Il Nord resta saldo. Il Sud si gioca tutto. Stefani e Decaro volano. Cirielli attacca Fico

di Ivano Tolettini -


Il Veneto

Nel Veneto la partita è sostanzialmente chiusa, ma non priva di tensioni interne. I sondaggi accreditano il leghista Alberto Stefani al 63,4%, contro il 26,4% di Giovanni Manildo. Tuttavia, la vera sfida si gioca dentro la coalizione di governo: Lega-Zaia e Fratelli d’Italia sono praticamente appaiati, 23,6 a 23,2. Un testa a testa che ridisegna i rapporti di forza nel Nord-Est. L’“effetto Zaia”, capolista in tutte le sette province venete, è il motore del consenso: intercetta i voti dei moderati e di una parte dell’elettorato di centrosinistra, che alle politiche guarda altrove ma alle regionali sceglie il buon governo. È lo stesso meccanismo che nel 2020 portò Zaia al 77%. Qui l’astensionismo pesa meno che altrove: il Veneto è la regione con la maggiore fidelizzazione elettorale del Paese, anche se la saturazione politica potrebbe spingere al ribasso una parte dell’affluenza. Se la partecipazione scendesse sotto il 55%, il centrodestra consoliderebbe ulteriormente la propria supremazia, ma il rischio per FdI è di restare schiacciato dal carisma civico del governatore leghista.

In Puglia

Più complesso il quadro in Puglia, dove Antonio Decaro del Pd vola al 63,2% contro il 33,8% di Stefano Lobuono. Anche qui il fattore determinante è la leadership personale: Decaro, come Zaia, è percepito come garante amministrativo più che politico. Il suo consenso attraversa i partiti e poggia su una rete di sindaci e amministratori che copre il territorio. Anche in Puglia il ribaltone è uno scenario improbabile: qui la macchina organizzativa è rodata e compatta, e l’astensionismo favorisce chi governa.

La Campania

La vera incognita resta la Campania, dove i sondaggi assegnano a Roberto Fico (Campo largo) tra il 51 e il 53%, mentre a Edmondo Cirielli (centrodestra) tra il 42,5 e il 45%. Il margine è ampio ma non incolmabile. La chiave sarà l’affluenza, in netto calo rispetto al 55% del 2020. È l’astensionismo la vera variabile del voto meridionale. In una regione dove il consenso è più mobile e il voto d’opinione più fragile, la partecipazione può valere fino a 5 punti percentuali in più o in meno. Per Cirielli, la rimonta passa da qui: mobilitare il voto latente dei moderati e delle aree interne, dove il centrodestra è competitivo, ma meno strutturato. Per farlo servono tre mosse: aumentare la notorietà del candidato, elevare la percezione di competenza amministrativa e portare l’affluenza sopra il 50%. In parallelo, FdI deve recuperare almeno tre punti, Forza Italia stabilizzarsi oltre il 13% e la Lega tornare sopra il 5%. Il centrosinistra gioca la partita opposta: Fico deve congelare l’astensione urbana e difendere la base Pd (19,5%) e M5S (10,1%), costruendo un ponte simbolico con l’eredità di Vincenzo De Luca, l’unico brand campano davvero popolare. Ma il suo limite resta evidente: candidato d’opinione senza apparato. In sintesi, il 23 e 24 novembre non misureranno la distanza fra destra e sinistra, ma quella tra territori organizzati e territori disillusi. Nel Veneto, dove il voto è identitario e costante, l’astensionismo non sposta; in Puglia, rafforza chi governa; in Campania, può riscrivere la storia.
Se l’affluenza risalirà di cinque punti, la partita si riapre. Se resterà al 45%, la vittoria di Fico sarà automatica. Perché oggi, più dei leader, a decidere è chi sceglie di non votare.


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