Economia

Bentornata Sip, c’è l’intesa KKR-Mef su Netco

di Giovanni Vasso -

NEGOZIO INSEGNA LOGO TIM


KKR-Mef, c’è l’intesa. È proprio l’era dei revival: bentornata Sip. Ma scordatevi, nostalgici di ogni fatta, le cabine telefoniche, le schede da collezionare, gli apparecchi a disco. Non è un’operazione alla Goodbye Lenin, non si torna indietro nel tempo. Più semplicemente, torna – ed era quasi ora – la presenza pubblica all’interno dei colossi (strategici) di Stato. I fatti sono questi: il fondo americano KKR è vicino ad acquisire, dopo aver presentato un’offerta vincolante, la società Netco di Tim. A cui sarà demandato il patrimonio di asset, reti primarie e secondarie, attività wholesale domestiche e quelle internazionali di Sparkle. In pratica, le chiavi di casa, una parte decisiva delle infrastrutture digitali del Paese. Una semplice privatizzazione, oggi, non sarebbe possibile. Non in quest’era, iniziata dopo la pandemia e proseguita con una guerra che, dalle porte dell’Europa, infiamma i già tesissimi rapporti internazionali e rinfocola battaglie commerciali tra le maggiori potenze globali. C’è da restarne schiacciati. E il governo italiano non può lasciare che sia un fondo straniero, per quanto “alleato” come lo sono gli Stati Uniti, a gestire da solo un asset più che strategico e fondamentale per lo sviluppo dell’Italia. Del resto, il centrodestra ci è andato al governo con questa promessa: le reti saranno pubbliche o, comunque, sottoposte al controllo da parte dello Stato.

Una soluzione, dunque, è stata trovata con la sottoscrizione, avvenuta l’altra sera, di un memorandum of understanding, cioè di un protocollo di intesa, tra KKR e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Che entrerà in Netco con una quota di capitale pari al 20 per cento nel quadro di un’offerta vincolante e “un ruolo decisivo del governo nella definizione delle scelte strategiche”. Insomma, senza l’ok da parte del governo, KKR non può fare granché né assumere decisioni strategiche di chissà quale impatto. Insomma, il controllo pubblico c’è e tornerà, almeno nelle intenzioni, a pesare. Un po’ come all’epoca in cui Tim ancora non c’era. Ma c’era la sua antesignana, l’ormai mitologica Sip. Per rendere ufficiale l’intesa, occorrerà un decreto del presidente del consiglio, un Dpcm. Il prossimo appuntamento utile, a Palazzo Chigi, è già segnato, in agenda, alla data del 28 agosto.

Il “patto” tra KKR e Mef, secondo gli analisti e gli osservatori, potrebbe rappresentare la svolta di una trattativa che sta andando avanti da mesi. Tra strappi, duelli e passi indietro al limite del clamoroso, come quello della cordata Cassa Depositi e Prestiti-Macquaire, che dopo aver annunciato battaglia s’è ritirata dal campo in buon ordine. C’è, inoltre, da valutare quali saranno le reazioni in casa Vivendi, coi francesi che continuano a detenere una quota rilevantissima in Tim. L’irruzione del governo nel match renderà difficile, agli investitori transalpini, dar filo da torcere affinché l’affare non si concluda. Anche perché, con la presenza diretta dello Stato e con un patto di governance che restituirà alla parte pubblica un margine decisionale più che rilevante, è nettamente bypassata la vicenda, potenzialmente un ostacolo, della golden share. L’operazione, o meglio l’infrastruttura che sarà trasferita a Netco, ha un valore economico stimato fino a 30 miliardi. Inutile ricordare che quello strategico, se possibile, è ancora più alto. La partita, nell’epoca in cui s’è rotta la globalizzazione e le potenze stanno ristabilendo ciascuna il proprio ruolo nelle rispettive aree di influenza (anche) economica, è aperta.


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