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Tre carabinieri morti, troppe parole sbagliate: la politica dimentica il rispetto

Tiani (SIAP): “Le dichiarazioni dell’europarlamentare Ilaria Salis sono gravemente inopportune e offensive nei confronti delle vittime e di tutte le donne e gli uomini in uniforme che servono lo Stato”

di Andrea Scarso -


La tragedia di Castel d’Azzano ha lasciato un segno profondo nel Paese. Tre carabinieri — uomini dello Stato, servitori della collettività — hanno perso la vita nell’adempimento del proprio dovere, vittime di un gesto di violenza brutale e premeditata. Eppure, invece di un coro unanime di cordoglio e di rispetto, le ore successive alla tragedia si sono trasformate nell’ennesimo terreno di scontro politico.

A innescare la polemica sono state le dichiarazioni dell’europarlamentare Ilaria Salis, che ha ricondotto l’accaduto a un contesto di disagio sociale e alla cosiddetta “crisi abitativa”. Parole che hanno immediatamente suscitato indignazione e dure reazioni da parte del mondo delle forze dell’ordine.

Il rispetto negato dall’ideologia

In una nota congiunta, Enzo Letizia, segretario dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, e Giuseppe Tiani, segretario generale del SIAP (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia), hanno espresso una posizione netta:

Le dichiarazioni dell’europarlamentare Ilaria Salis sono gravemente inopportune e offensive nei confronti delle vittime e di tutte le donne e gli uomini in uniforme che servono lo Stato con dedizione e sacrificio.”

I due sindacalisti denunciano una deriva retorica pericolosa, quella che tenta di diluire la responsabilità criminale di un gesto violento dietro l’alibi della marginalità o della disperazione.

“Tentare di ricondurre un atto di violenza deliberato e pianificato a presunte cause di disagio sociale significa stravolgere la realtà dei fatti — prosegue la nota — La disperazione o la povertà non sono mai un alibi per la violenza.”

Non esistono alibi per la violenza

Parole che toccano un nervo scoperto nella società italiana, sempre più abituata a dividere ogni tragedia lungo linee ideologiche. Ma qui, come ricordano Letizia e Tiani, non c’è spazio per l’ambiguità morale: chi colpisce lo Stato, chi uccide chi indossa una divisa, colpisce tutti noi.

“Chi sceglie di uccidere, di distruggere e di attentare alla vita di chi opera per la sicurezza collettiva non è una vittima del sistema, ma un aggressore dello Stato e della convivenza civile.”

“Sorprende e addolora — concludono i sindacalisti — che una rappresentante delle istituzioni europee abbia ritenuto di non esprimere un chiaro cordoglio per i tre carabinieri caduti, preferendo una lettura ideologica che offende il senso stesso di legalità e giustizia.”

L’episodio, al di là delle polemiche politiche, solleva una domanda che pesa come una pietra: stiamo perdendo la capacità di riconoscere e rispettare il sacrificio di chi serve lo Stato?

Chi serve lo Stato non merita interpretazioni

Dietro ogni uniforme ci sono volti, famiglie, vite spesso dimenticate fino al giorno in cui il dovere costa la vita. In queste ore drammatiche, mentre il Paese si stringe intorno ai familiari delle vittime, il dibattito pubblico sembra invece oscillare tra la ricerca di alibi e la strumentalizzazione ideologica.

Il dolore non ha colore politico. Eppure, in Italia, nemmeno la morte di chi muore per la sicurezza di tutti riesce più a unire.


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