Attualità

Chi fa arrabbiare Sua Santità e i musi lunghi nei corridoi vaticani

di Redazione -


di FRANCESCA CHAOUQUI

La guerra in Ucraina rischia di allungarsi e di portarsi dietro una scia di morte ancora per molto. Il tour europeo di Zelensky non è servito a cercare soluzioni: il presidente ucraino è andato in giro con il cappello in mano ad elemosinare armi e appoggio militare. Di fatto ha provato in tutti in modi (e non è detto che non ci sia riuscito) a tirare nella guerra mezza Europa. Niente di più pericoloso in questo momento.
Zelensky è stato fin troppo chiaro: la pace passa per la resa senza condizioni della Russia. Dunque per una vittoria anche militare dell’Ucraina, una posizione che concretamente significa non voler far tacere le armi, considerato che Mosca non potrà mai accettare di ritirarsi con disonore. Il presidente ucraino non vuole vincere, vuole stravincere, dimostrando di non avere alcuna capacità strategica. O forse l’unica strategia è quella dettata dagli Usa che, con la promessa di massicci aiuti economici, sta spingendo l’Ucraina a condurre una guerra ‘delegata’, al fine di consentire allo zio Sam di mettere il fiato sul collo del ‘nemico’ storico.
Da quelle parti si sta giocando con il fuoco, perché dopo aver stabilito che esiste un aggressore e un aggredito, poi bisogna fare i conti con una realtà che non può essere piegata alla convenienza di attori terzi, interessati a mettere radici in un’aerea strategica del globo, anche in funzione anti-Cina. Artefice di questo gioco al massacro è Joe Biden, colui che ha fatto pressioni sull’Ucraina in chiave anti-russa, tanto da spinger Kiev a non rispettare pienamente gli accordi di Misk, al dire il vero saltati anche per errori e provocazioni da parte di Mosca.
Premesso questo scenario, diventa chiaro che gli sforzi fatti dal Vaticano per poter giungere ad uno stop alle azioni belliche, sono stati frustrati dall’arroganza di Zelensky che ha pubblicamente rifiutato la mediazione del Santo Padre, proprio quando aveva deciso di metterci la faccia. Parole che hanno irritato il Segretario di Stato Pietro Parolin, il quale non ha lesinato sforzi per tessere una fitta rete di relazioni tra le parti con il fine di mettere i contendenti allo stesso tavolo. Un tavolo che, al momento, non esiste se è vero come è vero che il presidente Zelensky si rifiuta anche solo di pensare ad un incontro con Putin. Il cardinale, impegnato sabato a Lourdes, non era presente all’incontro con il presidente ucraino. Ufficialmente per l’impegno già preso in precedenza, ufficiosamente per le posizioni già note di Kiev.
Altro elemento che fa pensare alla irritazione della Santa Sede è offerto dal Regina Coeli domenicale. Il Papa dalla finestra del suo studio, non ha fatto alcun riferimento diretto all’incontro del giorno prima con Zelensky ma, soprattutto, non ha dato seguito alla richiesta del presidente ucraino di condannare pubblicamente i crimini russi. Un dettaglio importante che avrebbe collocato Francesco in uno dei due campi in guerra, con la conseguenza importante che sarebbe saltata l’equidistanza della Santa Sede, punto cruciale per continuare a ‘trattare’ quantomeno sul tema dello scambio dei prigionieri.

Dunque il faccia a faccia di 40 minuti di sabato scorso non è servito a molto, tranne che sul piano dell’intesa per gli aiuti umanitari. Il rifiuto della mediazione del Papa da parte di Zelensky è apparso un schiaffo che Francesco non meritava, dopo mesi di impegno per perorare la causa ucraina. Ma soprattutto non lo meritava la diplomazia vaticana che si è messa in silenzio e sotto traccia per trovare soluzioni al conflitto. Dunque non lo meritava Parolin e il suo più stretto collaboratore, vale a dire monsignor Paul Richard Gallagher, colui che si è speso in prima persona, il braccio operativo della rete diplomatica vaticana.

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