Cocaina, appalti e violenza: gli ultrà Diabolik a Cortina volevano le olimpiadi 2026
Da Roma alle Dolomiti, con vista sulle Olimpiadi, il passo è stato breve. Troppo breve per non destare sospetti. Due fratelli romani, Leopoldo e Alvise Cobianchi, ex ultrà della Lazio legati al gruppo degli Irriducibili e amici del defunto Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, assassinato a Roma nell’agosto 2019, avevano deciso di fare di Cortina d’Ampezzo la loro nuova piazza.
Cocaina, locali notturni, appalti pubblici:
Tre direttrici di un’unica strategia criminale, messa in piedi con linguaggi, rituali e violenze tipiche del metodo mafioso. L’inchiesta della Dda di Venezia, condotta dai carabinieri della compagnia di Cortina con il supporto dei nuclei investigativi di Belluno e Roma, ha un nome che suona come una promessa: “Reset”. Un azzeramento, appunto, di un sistema che negli ultimi anni si era radicato sotto traccia nel cuore della regina delle Dolomiti.
Le misure cautelari scattate all’alba di mercoledì (un arresto in carcere, uno ai domiciliari e un obbligo di dimora a Roma), raccontano un disegno chiaro:
Imporre la propria legge, con minacce e pestaggi, ai gestori della movida e tentare di infilarsi negli appalti miliardari delle Olimpiadi invernali del 2026. “Siamo mafiosi, con noi non si scherza”, urlavano i fratelli Cobianchi a chi non si adeguava. I loro bersagli erano i locali più noti: il rifugio Faloria, la discoteca Blu, lo Chalet Tofane. Volevano gestire la sicurezza, le serate, gli incassi. E per chi osava ribellarsi, c’erano botte, minacce e pistole puntate. Un audio registrato dagli stessi Cobianchi e ritrovato dai carabinieri restituisce tutta la brutalità del gruppo: dieci minuti di urla e schiaffi in un bosco gelido, nel febbraio 2024. Un organizzatore di eventi viene sequestrato, picchiato e costretto a giurare obbedienza. “Ti salvo oggi, ma da domani ogni cosa che fai la relazioni a me”, gli intima Leopoldo, mentre un’arma viene caricata in sottofondo. “Questa è casa nostra, ti è chiaro?”, ripete il boss autoproclamato. Il terrore della vittima, la voce che trema, l’accettazione forzata. Poi la liberazione e il silenzio: nessuna denuncia, per paura.
Ristoranti e appalti
Dietro la facciata da “imprenditori del divertimento” si sarebbe mossa un’organizzazione che usava i lavoratori stagionali dei ristoranti come corrieri della cocaina, distribuendo droga tra Belluno e Cortina. Con quei contatti, i Cobianchi cercavano di entrare nel giro dei grandi lavori pubblici. Nel mirino, gli appalti olimpici: infrastrutture, strade, parcheggi, villaggi turistici. In un taccuino sequestrato a Leopoldo, i carabinieri trovano un elenco di obiettivi: “zona cimitero per i garage”, “bretella nuova”, “villaggio turistico”. Durante la campagna elettorale del 2023, il gruppo tenta di avvicinare l’allora assessore comunale Stefano Ghezze, proponendogli un patto: sostegno politico in cambio di favori sugli appalti. “Avrei potuto candidarmi io a sindaco – gli dice Leopoldo – ma preferisco restare imprenditore. Noi possiamo dare una grande mano”. Ghezze ascolta pochi minuti, poi si allontana. È l’inizio dell’incubo: il dipendente che aveva fatto da tramite viene minacciato e perseguitato, il gruppo comincia a tormentarlo con messaggi e telefonate. “Se non otteniamo quello che vogliamo, sono mazzate”, avrebbero attaccato. I fratelli Cobianchi non nascondevano le proprie origini romane, né il legame con il mondo degli ultrà e della criminalità capitolina. Anzi, lo esibivano come garanzia di “caratura criminale”. L’omicidio di Piscitelli era diventato un mito da vendicare e da emulare. “Noi veniamo da Roma, lì comandiamo e comandiamo anche qui”, dicevano nei locali ampezzani. E c’era chi ci credeva davvero. Un pentito, Andrea Beretta, ex capo della Curva Nord interista, ha confermato ai magistrati: “I Cobianchi gestivano spaccio e locali. Prima in Sardegna, poi hanno puntato su Cortina”.
I due fratelli Cobianchi si muovevano come in un film di gangster:
Auto potenti, contatti tra la movida e la politica, affari coperti da società di facciata con sede a Roma. Una “Suburra” dolomitica che mischiava cocaina, fascino notturno e potere economico. Il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, ha espresso amarezza ma anche gratitudine: “Dispiace per il coinvolgimento di un assessore, ma va riconosciuta l’onestà di chi ha collaborato con i carabinieri”. Poi un ringraziamento diretto al maggiore Bui, destinatario di insulti durante le perquisizioni: “Ha dimostrato coraggio e competenza”. Anche il commissario di governo per le Olimpiadi, Fabio Saldini, ha parlato di “sinergia tra istituzioni a tutela della legalità e trasparenza nelle opere olimpiche”. Cortina non è solo una località di lusso. È un cantiere aperto, un hub di denaro pubblico e opportunità economiche. Ed è qui che la criminalità si insinua, silenziosa e ambiziosa. Nelle carte dell’inchiesta “Reset” emerge con chiarezza una verità amara: anche tra le cime più belle del Paese, il crimine organizzato sa reinventarsi, mescolando glamour e violenza, cocaina e appalti pubblici, imprenditoria e minaccia. Leopoldo Cobianchi, al momento dell’arresto, ha insultato i carabinieri: “Io sono il boss, voi siete pezzi di merda”. Una frase che fotografa tutto: l’arroganza di chi si crede intoccabile, e la determinazione di chi, invece, ha scelto di fermarlo.
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