Economia

Def: così il Superbonus inguaia i conti dello Stato

di Giovanni Vasso -

Il ministro dell Economia, Giancarlo Giorgetti, durante la conferenza stampa sul DEF al termine del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi, Roma, 9 aprile 2024. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI


Un Def all’insegna del Superbonus. All’una e mezza di ieri è finito il consiglio dei ministri che ha dato il via libera al documento di economia e finanza. Innanzitutto le cifre, almeno quelle che ci sono: la crescita del Pil nazionale è stimata all’1 per cento, il deficit rimane al 4,3% mentre il rapporto debito-Pil è stabilmente sotto la soglia del 140% ed è stato quantificato al 127,8 per cento. Per l’anno prossimo, invece, le stime parlano di una crescita più robusta, attorno all’1,2% e di una caduta del deficit che, rispetto al prodotto interno lordo, sarà pari al 3,7%. Il rapporto col debito, invece, potrebbe crescere fino al 139,6%. Si tratta di numeri che, in buona sostanza, confermano le indiscrezioni della vigilia. E che dipingono uno scenario in cui il governo si ritrova a dover cercare risorse per finanziare le misure cardine e irrinunciabili messe in campo, prima tra tutte quella legata al taglio del cuneo fiscale che, nelle parole del ministro Giancarlo Giorgetti, dovrà essere confermata anche nel 2025. Una grossa mano al Mef potrebbe arrivare dal programma di privatizzazioni grazie al quale il governo conta di incassare fino a venti miliardi di euro: “L’operazione di razionalizzazione delle partecipazioni annunciata credo sia un obiettivo ambizioso ma anche realistico e a quello ci atteniamo”, ha ripetuto lo stesso Giorgetti affermando che “l’andamento del debito e sua sostenibilità non dipendono dal programma di alienazione”. L’obiettivo delle cessioni è quello già contenuto nella Nadef e non si registra alcun passo indietro. Se non rispetto alle prospettive di crescita, in netta diminuzione rispetto a quelle contenute nella Nota aggiuntiva (+1,2%) a causa del “quadro internazionale e geopolitico complicato”. Cambia pure, e non poco, il capitolo debito. Il Superbonus, stando ai conti del Mef, costa all’Italia più di quanto incasserà (a debito, per la maggior parte) con il Pnrr. Le stime sono sanguinose. Il ministro Giorgetti, superando i dati che, fino a marzo, davano il costo del bonus a 122 miliardi e andando oltre le previsioni del suo sottosegretario Federico Freni che, a Cernobbio, aveva parlato di un buco da 210 miliardi, ha riferito che il costo della misura sarà pari addirittura a 219 miliardi di euro. Il governo, in una nota “collettiva” ha parlato apertamente di “pesante impatto” del Superbonus sui conti pubblici che si riverbera sul Def. Giorgetti ha rincarato la dose: “L’andamento del debito è quello pesantemente condizionato dai riflessi per cassa dal pagamento dei crediti fiscali del superbonus nei prossimi anni. Questa enorme massa di 219 miliardi di crediti edilizi, scenderanno in forma di compensazione nei prossimi anni, e diventeranno a tutti gli effetti debito pubblico, anche ai fini contabili”. Perciò il ministro annuncia, tra le righe, parlando del Def annuncia un inasprimento dei controlli sui crediti Superbonus: “Già sequestrati 16 miliardi, andiamo avanti”, ha promesso nella speranza di abbassare il monte spese del debito. L’aumento dei costi, però, impone al governo e in particolare al Mef di rintracciare risorse per tentare di tamponare la falla. “Al ministero stiamo pensando come andare ulteriormente avanti in questa direzione di tagli di spesa, non auspicavamo il disastro del superbonus e questo complica il quadro onestamente”, ha affermato il ministro che, sottolineando come la decontribuzione abbia “dato un po’ di fiato agli italiani” ha confermato che “la priorità numero uno” rimane “la conferma del taglio al cuneo fiscale”. Insomma, la ricetta per digerire il Superbonus non prevede alcun aumento delle tasse ma tagli alla spesa pubblica. Un’altra via potrebbe essere quella della dismissione di parte del patrimonio immobiliare pubblico a patto che le offerte siano congrue.

Insomma, viviamo tempi interessanti, per dirla senza eccessivi allarmismi. E Giorgetti lo sottolinea: “I limiti di preoccupazione sull’economia italiana rimangono e vanno inseriti in un contesto molto più ampio, che è la situazione di incertezza generale dell’economia globale, afflitta dopo la ventata del covid da questi conflitti. L’Italia, però, è stata più resiliente di altri in Europa e ci sono segnali che la locomotiva tedesca ha ricominciato a ingranare e anche questa credo sia una buona notizia per gran parte dell’economia manifatturiera italiana. Bisogna essere ottimisti, il quadro generale induce al realismo e alla prudenza”. Il ministro, dopo aver giocato sulla possibilità di lasciare via XX Settembre per assumere la carica, dopo le Europee, di commissario Ue all’Economia (“ho già dato l’ok per sostituire Allegri”, ha detto tirando in ballo il tecnico della Juventus), ha rintracciato un segnale positivo nell’andamento dell’inflazione. Che, dovesse continuare la sua china discendente, potrebbe indurre la Bce a ripensare la sua politica monetaria. “Auspico che si avvii una diminuzione dei tassi di interesse”, dice Giorgetti già pregustando il risparmio (miliardario) dell’Italia rispetto agli interessi da pagare sul debito, cresciuti a dismisura con la scelta di Lagarde e soci di far impennare i tassi di interesse.


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