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Economia

Dop Economy: un record a rischio fragilità

Alcune aree e filiere corrono, altre arrancano. L’espansione dipende fortemente dal mercato estero

di Angelo Vitale -


Nuovo record per la Dop Economy: per la prima volta supera i 20 miliardi euro di valore alla produzione, confermandosi motore strategico del nostro agroalimentare. L’export di alimenti e vino certificati oltrepassa i 12 miliardi, con risultati inediti. Ma lo slancio si affianca a tensioni e fragilità.

Dop Economy: crescita strutturale, numeri che contano

Nel 2024 il valore complessivo delle produzioni certificate tocca circa 20,7 miliardi euro, in aumento non solo rispetto all’anno precedente ma con un +25% su scala quadriennale. Il comparto rappresenta ora quasi un quinto del fatturato agricolo‑alimentare nazionale. Il settore “cibo certificato” tocca 9,6 miliardi, il vino imbottigliato resta stabile sugli 11 miliardi.

L’export

Le esportazioni raggiungono 12,3 miliardi: mai così tante. Per la prima volta il cibo certificato supera i 5 miliardi e il vino oltre i 7 miliardi — un segnale forte: la domanda globale premia la qualità, non solo il costo.

Il sistema poggia su decine di consorzi e centinaia di migliaia di operatori che garantiscono lavoro a migliaia di filiere diffuse su tutto il territorio nazionale.

Qualità, certificazione, Made in Italy: i punti di forza

La storia di questo boom passa dalla reputazione delle denominazioni: formaggi, salumi, vini, prodotti agroalimentari italiani con marchio DOP/IGP restano un punto di riferimento sui mercati internazionali. In un contesto mondiale di inflazione, instabilità sui prezzi delle materie prime e concorrenza agguerrita, la certificazione – e con essa la storia, la territorialità, l’identità del prodotto – diventano leve competitive decisive.

L’internazionalizzazione ha offerto ossigeno: l’export riesce a compensare le pressioni sui mercati interni, mantenendo margini e sostenendo migliaia di imprese locali.

Le ombre dietro i record

Ma non tutto è oro. La crescita appare disomogenea. Alcune aree e filiere corrono, altre arrancano. L’espansione dipende fortemente dal mercato estero: un rallentamento nella domanda globale, l’introduzione di nuove barriere commerciali o oscillazioni dei cambi potrebbero mettere a rischio i risultati raggiunti.

Inoltre, dietro alle cifre ci sono tante piccole e medie imprese — artigiani, consorzi rurali, imprese familiari — spesso vulnerabili a costi delle materie prime, logistica, cambiamenti climatici. Per loro, la certificazione non basta: servono investimenti, investimenti in qualità, tracciabilità, innovazione.

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Quale futuro?

Il nuovo risultato rappresenta un successo strutturale per l’agroalimentare italiano: qualità, marchi, identità — la strada sembra tracciata. Ma il trionfo è fragile. Il contesto globale è instabile, la concorrenza feroce, il clima mutevole.

Per consolidare e non disperdere il vantaggio occorrerà qualcosa più dei buoni numeri odierni. Servono strategie lungimiranti, sostenibilità, controllo qualità, diversificazione dei mercati e tutela delle filiere — specialmente quelle minori.


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