Editoriale

EFFETTO DE COUBERTIN

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Ce la venderanno alla de Coubertin che l’importante non è vincere ma partecipare. La verità è un’altra però. La cosa peggiore non è perdere le elezioni, che in democrazia ci sta, ma piuttosto soccombere dopo avere ceduto alla destra i cavalli di battaglia della sinistra: le tasse più basse, la contrattazione sindacale, il lavoro come priorità, la cancellazione delle elemosine di Stato in cambio di un modello di redistribuzione del reddito che garantisca agli italiani di poter vivere del proprio lavoro. Dopo avere abbandonato il proprio patrimonio culturale senza nemmeno rendersene conto, la sinistra si trova orfana di se stessa a combattere questa sensazione di solitudine creando attorno a sé nemici che sembrano agli occhi della maggioranza degli italiani fantasmi usciti dal proprio passato. In assenza di parole d’ordine progressiste autentiche bisogna vedere un fascista ad ogni angolo della strada, rendendo Prokofiev di enorme attualità, gridando cioè “al lupo al lupo” un giorno sì e l’altro anche fino a diventare inefficaci anche quando l’allarme e i fatti potrebbero dare ragione. L’ultimo tormentone riguarda gli addii milionari e volontari dalla Rai, diventati il grimaldello per denunciare una epurazione preventiva prima ancora che la nuova televisione pubblica veda alla propria guida i nuovi vertici nominati dal governo Meloni. Il salario minimo, che tradotto in italiano significa dare ai ricchi la possibilità di decidere quanto guadagnano i poveri, è diventata una battaglia della sinistra, quando fino a pochi anni fa sarebbe stata censurata e catalogata come un’aggressione della destra capitalista contro il diritto dei lavoratori di essere rappresentati al tavolo del governo da un sindacato libero di contrattare il salario migliore per tutti. Questa inversione si è resa necessaria perché negli ultimi anni perfino il sindacato ha fatto gli interessi dei ricchi, basti pensare ai contratti sotto i 4 euro l’ora sottoscritti addirittura dalla Cgil e basta farsi un giro nei palazzi del potere per vedere che le stesse cooperative che sottopagano chiunque hanno vinto appalti milionari proprio al servizio della politica che li ha resi possibili. E così ci svegliamo una mattina e la destra vince in Spagna, costringendo il premier Sanchez alle dimissioni. Aveva già vinto in Italia lanciando Giorgia Meloni in un ruolo di guida di una parte politica che in pochi anni ha la possibilità di passare da pura testimonianza ai lati dell’opposizione a partito trainante addirittura nella nuova maggioranza che potrebbe uscire dalle elezioni europee del prossimo anno e cambiare volto a Bruxelles. Poi si va a votare alle elezioni amministrative e la destra sbaraglia la sinistra in quasi tutte le città, fatto salvo un lembo del nord-est, il nuovo triangolo progressista Verona–Vicenza–Udine dove la caratteristica comune dei candidati vincenti è di avere tenuto a distanza siderale i leader politici nazionali dei loro partiti. Il problema finale della sinistra riguarda l’autocritica. Una parola che ha fatto parte per decenni della sua storia e che oggi è scomparsa. Chiunque critichi il Pd si sente dare del fascista. Vediamo se l’ennesima batosta nelle urne, simbolo stesso della democrazia popolare, faranno sorgere qualche dubbio nella testa di questi cervelloni democratici e capire che di questo passo la sinistra rischia di scomparire.


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