Ergastolo a Péchier: il medico ha avvelenato trenta persone
Alterava sacche e trasfusioni: dodici pazienti sono morti
(Foto da Instagram)
Ergastolo in Francia per Frédéric Péchier: la giustizia francese chiude uno dei processi più sconvolgenti degli ultimi anni, trenta avvelenamenti, dodici morti, centinaia di vite spezzate dal sospetto. Un medico, una sala operatoria, il tradimento della fiducia assoluta. La sentenza pesa come un silenzio definitivo.
Una condanna che segna un’epoca
La Cour d’assises di Besançon ha condannato Frédéric Péchier all’ergastolo, con 22 anni di periodo di sicurezza. I giudici hanno riconosciuto la sua responsabilità in 30 avvelenamenti di pazienti tra il 2008 e il 2017. Dodici di loro non sono sopravvissuti. Il verdetto ha chiuso un processo durato mesi, seguito con attenzione nazionale dalla Francia.
Péchier: l’uomo dietro il camice
Péchier ha 53 anni, una carriera solida, la reputazione di rianimatore esperto. Secondo l’accusa, agiva nell’ombra, alterando sacche e infusioni. Provocava arresti cardiaci improvvisi, poi interveniva come salvatore. Un meccanismo freddo, ripetuto, deliberato.
Le vittime al centro del processo, la condanna all’ergastolo
In aula hanno parlato i familiari. Hanno raccontato interventi di routine diventati tragedie inspiegabili. Hanno descritto ospedali trasformati in luoghi di sospetto permanente. Molti non cercavano vendetta, ma verità.
Il dolore che resta: trenta avvelenamenti, dodici morti
Alcuni pazienti sono sopravvissuti, ma non sono tornati alla vita di prima. Altri non hanno mai lasciato la sala operatoria. La giustizia ha riconosciuto una scia di sofferenza diffusa, oltre i numeri.
La difesa e l’ultima parola
Fino alla fine, Péchier ha negato ogni accusa. «Je ne suis pas un empoisonneur», ha dichiarato davanti alla corte. Il suo avvocato ha annunciato appello, contestando la lettura complessiva delle prove. La Corte non ha avuto dubbi: ergastolo per Péchier che ha avvelenato trenta persone.
Un caso che interroga la medicina
Il processo ha aperto una ferita profonda nel rapporto tra pazienti e sistema sanitario. Ha imposto domande sulla sicurezza, sui controlli, sull’isolamento professionale. Ha mostrato quanto il potere medico possa diventare distruttivo. E quanto sia fragile la fiducia, una volta spezzata.
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