Editoriale

Fluido sarà lei

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


di TOMMASO CERNO

A me che piacciono gli uomini da quando avevo cinque anni, prima non ne ho memoria, vietano di dire che sono frocio. Li offende. Mi vorrebbero fluido, una parola che non significa nulla. È la nemesi della sinistra che ha regalato alla destra le sue battaglie di sempre, quelle in cui era lei a difendere i poveri e parlare la loro lingua, e oggi immagina di tornare a piacere alle masse non cambiando i fatti di cui parla ma girandoci intorno con un uso sapiente delle parole. È quel senso di vaghezza che avvolge il progresso, che è davanti agli occhi di tutti, che gestito così sta creando un mondo più ingiusto eppure va celebrato, che si è appropriata delle classi dirigenti, spingendole a non voler più incidere sulla realtà ma solo ad aderirvi, per poi consolidare le distanze politiche nella rissa su tutto, indispensabile oggi per mantenere in vita una distanza politica.

Come un Polifemo politicamente corretto per non voltare la testa a guardare cosa succede intorno ci troviamo a fissare una sola direzione e a chiamarla futuro, mentre la società che avevamo costruito va in pezzi e l’Europa sembra tornare indietro all’era delle nazioni in guerra fra loro. E se è vero che la crisi della sinistra non è un problema solo italiano, è anche vero che in Italia si continua a fingere che non sia così. E a cambiare il capo di turno per poi farlo parlare, però, sempre agli stessi di prima. In una diaspora delle differenze, delle critiche, del dissenso – che poi e ciò che ha reso grande la sinistra italiana – che renderà anche tutto più fluido, ma assolutamente monocorde e alieno dalla realtà. Perché non può esistere un partito che più continua a perdere le elezioni e più sembra fare di tutto per restringersi, per adattarsi a un mondo in miniatura dove garantire lo spazio vitale a chi si trovava lì.

A edificare insomma un parco della memoria della sinistra, come fosse un reperto venuto dal passato. Che si affida a un testimonial. La strada è impervia ma è lì di fronte a noi, si tratta di usare lo stesso metro messo in campo per contestare al governo Meloni la natura delle sue scelte anche per separare in casa propria le mele dalle pere, mostrandosi capaci di ammettere che la voglia di governo a tutti i costi, anche in assenza di un consenso popolare sufficiente, pur giustificata dall’emergenza di turno o dalla pandemia che ha addormentato i cervelli della politica per due anni, ha prodotto una delusione in larga parte dell’Italia meno abbiente che si è sentita abbandonata.

E che ha smesso di credere che le ragioni per cui la sinistra ha favorito la grande finanza, un sistema bancario che non faceva più l’interesse dei risparmiatori e un’Europa che aveva all’improvviso solo luci e nessuna ombra non erano più ragioni credibili. E il compito di Elly Schlein, al netto del tempo che perde a dire che la gente di destra è cattiva, e di quello che perde a litigare con i cacicchi di turno che hanno invaso da anni i piani alti del Nazareno, è quello di parlare prima di tutto e forse solo a quella parte del Paese smarrito, che di fluido non ha niente, che anzi vede secco e arido il proprio futuro.


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