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Attualità

Il futuro dell’Unione Europea è in mano ai giovani

di Priscilla Rucco -


In un’Europa che si evolve rapidamente, i giovani diventano la parte più importante in tema di trasformazioni sociali e politiche. Le loro abitudini informative, le priorità e la rinnovata partecipazione alla vita democratica raccontano di generazioni che non solo osservano il presente, ma che provano ad orientare il futuro. L’Eurobarometro Giovani 2024/’25 fotografa una generazione che si informa soprattutto online e che non ha paura di mettere in discussione ciò che legge. Social come Instagram, TikTok e YouTube superano ufficialmente la televisione come principale fonte di notizie per i giovani in una fascia di età compresa tra i 16 e i 30 anni, ma l’adesione ai social non significa ingenuità: il 76% dichiara di essere esposto a contenuti potenzialmente falsi e il 70% afferma di saperli addirittura riconoscere. Le notizie più seguite l’ambiente e il clima restano in cima, seguiti dalla politica, dall’economia e dal lavoro, temi che i giovani percepiscono come decisivi ed incisivi per il proprio futuro. Accanto alle preoccupazioni cresce anche il senso di appartenenza all’Unione, sostenuta con convinzione crescente. Un dato lo conferma più di tutti: alle elezioni europee del 2024 si è registrato un afflusso record di under 30, superiore a quello delle fasce più mature. Una generazione digitale, critica e sempre più protagonista del progetto europeo.

L’Unione Europea è nata per evitare la ripetizione degli orrori del Novecento. È nata dalla paura e dalla scelta coraggiosa di superarla, insieme. Oggi accade qualcosa di inspiegabile: quelle stesse istituzioni che avrebbero dovuto offrire stabilità sembrano diventate terreno fertile per nuove paure. Paura della guerra alle porte, timore dell’insicurezza economica, delle migrazioni, ma soprattutto paura dell’altro. Il risultato è una fragilità democratica diffusa e sempre più dilagante.

Democrazie instabili

In molte parti d’Europa la partecipazione politica cala, i partiti storici hanno stancato i cittadini, i governi cadono e si alternano. Non perché la democrazia non funzioni più, ma perché sembra non riuscire più a convincere. E l’astensionismo durante le elezioni ne è la prova. Molti cittadini si sentono spettatori stanchi, non protagonisti. Coinvolti quando serve, inascoltati per il necessario. La distanza tra istituzioni e vita reale si misura nelle piccole fratture quotidiane: l’incapacità di trovare casa, la precarietà che diventa condizione permanente, le promesse di “piani europei” che si perdono nei corridoi della burocrazia comunitaria.

Il ritorno del nazionalismo

Quando manca una visione, tornano i riflessi antichi di un tempo: le bandiere, i confini, l’idea seducente e sempre in voga della “sovranità” come rifugio. Ma il nazionalismo europeo del 2025 non è quello ottocentesco: è un nazionalismo liquido, mediatico e immediato. Non costruisce, ma reagisce. Cavalca l’ansia, sfrutta il rancore, promette protezioni che non può assolutamente mantenere. L’Europa, intanto, assiste a tutto questo come paralizzata: condanna da un lato, negozia dall’altro, mentre la sua narrazione centrale – pace, progresso e diritti – perde mordente, arranca inevitabilmente.

In periodi storici complessi ed incerti come quelli che stiamo vivendo, le grandi potenze ridisegnano gli equilibri globali, conflitti aprono nuove faglie geopolitiche, l’economia internazionale si riassetta su logiche che non decidiamo più noi. L’Europa reagisce sempre un istante dopo. Cosa servirebbe? Sicuramente una visione unitaria, ma ogni Stato membro difende il proprio interesse immediato. Così il continente appare diviso proprio quando avrebbe più bisogno di essere unito e compatto.

Giovani europei: cresciuti liberi e diventati disillusi

Sono loro, i giovani, il termometro più sincero di questo smarrimento. Sono cresciuti con Erasmus, voli low-cost, frontiere invisibili. Sembrava la normalità; oggi è un privilegio. Molti non credono più che l’Europa sappia proteggerli, interarli e renderli cittadini del mondo. Vivono in un sistema che predica opportunità ma offre precarietà, che parla di futuro ma non sa garantirlo. Eppure, proprio tra loro nascono i segnali più forti: movimenti transnazionali, associazioni, iniziative culturali che provano a ricucire ciò che la politica ha lasciato strappare via dal debole tessuto europeo. Nel cuore della crisi identitaria c’è una domanda semplice ma necessaria da fare. Che cos’è oggi l’Europa? Un insieme di regole o una comunità? La risposta non può arrivare dai trattati. Deve partire dalle piazze, dalle scuole, dalle città e da quei luoghi dove la democrazia si respira davvero. L’Europa deve tornare a essere un progetto comune: qualcosa da costruire, da discutere e da vivere.


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