I porti italiani alla soglia della riforma
Le attese sulla spa partecipata dal Mef e vigiliata dal Mit
Il porto di Gioia Tauro
I porti italiani sono pronti cambiare faccia: questa volta, la sfida non riguarda solo infrastrutture, ma con la riforma la strategia industriale del Paese. Dopo anni di frammentazione, il sistema portuale nazionale a una soglia storica. Il Consiglio dei Ministri del 22 dicembre ha approvato la riforma che istituisce Porti d’Italia Spa, società pubblica di diritto privato partecipata dal Mef e vigilata dal Mit, con l’obiettivo di coordinare investimenti strategici, attrarre capitali e modernizzare la governance nazionale.
Un passaggio cruciale, Porti d’Italia spa
Un passaggio cruciale, perché il traffico merci ha mostrato segnali di crescita ma anche criticità strutturali. Nel 2024 le banchine italiane hanno movimentato 480,7 milioni di tonnellate di merci, segnando un lieve aumento dell’+1,3% rispetto al 2023.
Il segmento container — vero indicatore della competitività logistica — ha totalizzato 11,7 milioni di container movimentati, con un forte incremento del traffico di transhipment (+14,9%) che ha compensato il calo delle rotte import‑export (-3,1%).
Tra gli scali italiani, Trieste ha consolidato la sua leadership con oltre 59,5 milioni di tonnellate movimentate nel 2024, in crescita del +7,1% rispetto all’anno precedente, spinta soprattutto dalle rinfuse liquide (più di 41 milioni di tonnellate). Nel porto giuliano il numero di teu pieni è aumentato del +4,0%, a conferma della resilienza dello scalo in un mercato globale incerto.
I segnali divergenti
Ma non mancano i segnali divergenti. Trieste cresce, altri sistemi portuali mostrano performance più modeste o in calo, enfatizzando la variabilità territoriale per anni persistente.
L’esigenza di una governance unitaria, più volte richiamata. Il ministro Matteo Salvini aveva sottolineato la necessità di una riforma capace di creare una cabina di regia nazionale per i porti.
Un richiamo ora tradotto nella proposta di Porti d’Italia Spa, con l’intento di superare i limiti di un modello in cui 16 Autorità di Sistema Portuale operano con competenze e risorse eterogenee.
Le opportunità della riforma, evidenti. Una struttura centrale potrebbe razionalizzare investimenti e opere infrastrutturali, evitando duplicazioni e gap tra scali, attrarre capitali pubblici e privati su scala europea, migliorare l’intermodalità, integrando porto con ferrovia e retroporti, sviluppare progetti di lungo periodo che favoriscano i corridoi logistici europei aumentando la competitività internazionale.
Tre, gli esempi emblematici. Trieste guida i traffici con numeri vicini ai 60 milioni di tonnellate, Genova si mantiene hub essenziale per il Mediterraneo ligure, Gioia Tauro si conferma importante terminal di transhipment.
Le criticità, nonostante la riforma
Un progetto che non esclude criticità. Le Autorità di Porto temono un depotenziamento del ruolo, le Regioni sollevano dubbi su autonomia e gestione delle risorse. L’allarme principale, la possibilità che la riforma crei un nuovo livello burocratico invece di semplificare procedure e accelerare opere.
La sostenibilità economica dell’intero sistema resta legata alla capacità di integrare davvero porti, ferrovie e logistica terrestre: senza un nodo retroportuale efficiente, anche gli scali più grandi rischiano di operare sotto potenziale.
Assoporti, ora guidata da Roberto Petri, enfatizza l’importanza di un equilibrio tra governance nazionale e autonomia territoriale: “I porti funzionano se sono parte di una catena logistica, non se vengono gestiti come entità isolate”, dice il nuovo presidente.
Critiche anche dai dem, per Valentina Ghio una riforma “centralistica”, temendo che concentri poteri a discapito delle Autorità portuali e della loro capacità decisionale nelle realtà locali.
Porti italiani, la posta in gioco
Per gli operatori economici e logistici, un’alta posta in gioco. Una governance efficace può trasformare i porti italiani da semplici terminal di passaggio a hub industriali integrati, capaci di competere con i principali scali europei e di intercettare le rotte globali.
Le performance di traffico comparate con quelle di porti come Rotterdam o Anversa mostrano che non è la posizione geografica a mancare all’Italia, ma un modello di gestione in grado di dare continuità e visione strategica.
L’Italia, dal mosaico di scali frammentati alla ricerca di un sistema industriale integrato, per fare del mare un vero motore di sviluppo.
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