Editoriale

Il non voto di coscienza

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Tutto l’armamentario per disquisire senza dire da che parte si sta, per archiviare per un pomeriggio quella sicumera che si sente sfoggiare quando si parla d’altro, dal Pnrr ai conti pubblici al Fisco, lì dove tutti dichiarano qualunque cosa e si dicono portatori della verità assoluta sul buon funzionamento dello Stato. Ma il Parlamento autentico è quello di ieri, che ci mostra due elementi molto importanti di cui dobbiamo tenere conto.

Ci mostra una destra che ha i suoi “no” preconfezionati e che, dopo aver dovuto uniformare molte delle sue posizioni politiche elettorali alla real politik del governo cerca nei temi etici quel sapor di popolo che le ricorda i bei tempi in cui si poteva essere se stessi e sparare qualsiasi cosa. Ma al tempo stesso ci mostra anche una destra che, pur lentamente, sta mutando e sta cominciando fra mille distinguo a mettere mezze parole che suonano come sinonimo di discussione.

Perché se da una parte porta in aula il manifesto del reato universale per l’utero in affitto, che nemmeno nei banchi conservatori è da tutti sostenuto con calore, dall’altro lascia intendere che il vecchio tabù delle adozioni può essere, con molto garbo, infranto e non è da escludere che nell’Italia che non rimette mano a quella legislazione da decenni, nel Paese dove un single non può adottare, cosa che significa nella pratica che Giorgio Armani non potrebbe avere un figlio da allevare mentre Olindo e Rosa fino al giorno prima dell’arresto sì, c’è un partito che ha sempre detto no e che oggi può dire qualche ma. Non è l’orizzonte migliore per una idea di famiglia che si evolve alla velocità della luce, ma è un passo che un Parlamento davvero riformista e non solo a parole dovrebbe cogliere come una grande novità su cui investire pensiero, dialettica, scontro. Purché si investa.

Dall’altra parte dell’emiciclo c’è la sinistra, che ha perso a sua volta i connotati da falange romana che aveva messo in campo con il Ddl Zan e che di fatto è divisa sulla Gestazione per altri. Per cui riunioni, controriunioni, migliaia di sms e whatsap per poi decidere di non decidere. Nemmeno la libertà di coscienza, che con la destra così forte nei numeri poteva significare libertà di incoscienza, è stata sufficiente a trovare una quadra. Si è ritrovata la vecchia strada del non voto, una libertà di pensiero che si esprime non contandosi e non dividendosi ma di fatto affermando che anche da questa parte di strada da fare ce n’è eccome. La ragione è banale e molto italiana.

Il Pd è stato al governo per quasi dieci anni consecutivi dopo la caduta dell’ultimo esecutivo Berlusconi, ma mai dopo una vittoria elettorale che abbia dato alla sinistra e al partito di maggioranza relativa di questa parte politica la palla per calciare in porta sui grandi temi etici che in campagna elettorale le stanno tanto a cuore. E questo ha portato al fatto che in questi anni nel Pd si è discusso di tutto in merito a banche, pensioni, welfare, crisi industriali ma i diritti non sono mai stati davvero in agenda e quindi mai presenti davvero nel dibattito. Questo ha portato a un difetto di progresso nei progressisti, che si manifesta chiaramente di fronte a un voto trappola come quello di ieri.

Dove appare nitido che l’unità non si troverà mai, che c’è un gap di dibattito, che manca un pezzo di strada in mezzo fra la partenza e l’arrivo. E così ci mette una pezza Calenda, con un sì, ma anche che ricorda quel centrismo moderato d’antan che tanto vorrebbe risvegliare quando si tratta di andare alle urne. Ma quel centro là le cose le decideva eccome. E quando non le decideva, sapeva farsele cadere addosso.


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