Cultura & Spettacolo

Il Principe: la docuserie di Beatrice Borromeo che racconta Vittorio Emanuele

di Nicola Santini -


Già con il titolo ci assicuriamo un tot di giri di tomba di Niccolò Machiavelli a cui si è soffiato un più onorevole diritto d’autore. Anche se, a ripensarci bene, qualcosa di machiavellico ne “Il Principe”, la docuserie che ha trasformato Beatrice Borromeo in regista, c’è. Trasformato, o meglio, cercato di trasformare, la Borromeo in Casiraghi, in regista. Perché se vogliamo dirla tutta, proprio dai titoli di testa, al di là di tutto, ossia del nulla spalmato in 3 episodi, la regia è talmente spicciola da chiedersi se quella che Netflix si permette di mettere in catalogo per noi poveri abbonati in cerca di emozioni, è una bozza oppure la boiata definitiva. Ma c’è poco da stupirsi: la regista non solo non è una regista, non fa nemmeno la regista. E si vede. Cavolo, se si vede.
Il soggetto di per sé poteva anche essere interessante, benché ci si domandi perché non affidarlo ad un professionista, tenendosi gli oneri di sponsorizzarlo, se proprio si vuole lasciare il segno. Peccato che se c’era un intento di narrazione di qualsiasi genere, sia rappresentato così malamente da farsi venire la voglia di guardarlo fino in fondo per capire se davvero nel 2023 c’è qualcuno che ha voglia di mandare in giro roba così e per di più compiacendosene.
Di cosa parla “Il Principe”? Nelle tre righe con cui Netflix liquida la faccenda, si legge che la docuserie fa luce sull’omicidio di un adolescente tedesco nel ’78 con i racconti della sorella e della famiglia reale italiana coinvolta nel caso.
Di fatto quello che appare è una sorta di reunion di vecchie glorie della Costa Smeralda di fine anni ’70 che ormai si conoscono solo tra di loro, tranne uno, e che, sedute su diversi divani di diversi salotti, di uno stesso quartiere, cercano di spiegare quanto loro fossero altra cosa rispetto ai Savoia, con i quali hanno diviso una spiaggia e qualche tuffo a distanza, al tempo che fu.
L’omicidio, o incidente, che è costato la vita al giovane Dirk Hammer, unico vero innocente in una faccenda narrata male e girata peggio, è diventato un pretesto per mettere alla gogna un Vittorio Emanuele, oggi ormai anziano, che addirittura si presta a qualche botta e risposta dopo anni ed anni dalla fine del lunghissimo processo che lo ha assolto nei tribunali francesi.
La docuserie è tratta dal libro scritto dalla sorella di Hamer, Brigitte, unico personaggio, con la famiglia, a rilasciare testimonianze toccanti di tutta quella discesa infinita all’inferno che vivono coloro che sentono di non avere ricevuto giustizia. E riesce nell’intento, pressoché impossibile, di far passare questo brutto capitolo di una storia di giovani in vacanza finita nel peggiore dei modi, come scusa per fare opera di pubblico sdegno e di altissimo snobismo, dove nessuno si prende la briga di puntare l’indice sui fatti, che un tribunale ha decretato non dimostrabili, quanto sulla spocchia, sull’antipatia, sull’intolleranza di qualcuno che con i Savoia si mescolava mal volentieri.
Gli spezzoni montati con la macchina del tempo, ritagliati in un’arco di quasi cinquant’anni, sono appiccicati gli uni sugli altri, senza uno storytelling, senza una narrazione visiva. La sola cosa che si salva è la sigla, carina, da tiktok.
Il resto me lo immagino di certo gradimento per chi, con ferite emotive ancora evidentemente aperte, affidando il racconto alla figlia dell’amica, si ritrova lì, in una tribuna capitonné, a spiegare non che ha visto coi propri occhi la rivoltella che sparava, ma il fastidio del presunto (assolto) omicida, al ristorante nel riscontrare quanto baccano facesse l’allegra comitiva in trasferta da Porto Cervo. E che non se la prende con la Giustizia francese che, in caso, farebbe acqua da tutte le parti, ma processa il nemico blasonato, che li trattava da invasori del suo esilio vacanziero, quasi fossero i lanzichenecchi nel treno verso Foggia, che hanno guastato le letture proustiane di Elkann.
La serie ha anche la pretesa di avvicinare la storia principale ad altre tante piccole storie correlate: la nuova medicina tedesca, la P2, lo sciopero dei secondini francesi: peccato che il tutto sia trattato con una superficialità che perdoni se hai 5 minuti in un programma del pomeriggio, ma non assolvi se hai a disposizione 3 puntate. Perché quello significa non saper fare nemmeno una scaletta. Voleva essere un atto di coraggio dalla balconata del Principato? Vediamo se Borromeo vorrà spiegare l’amore degli evasori fiscali di tutte le epoche per i Casinò e gli ormeggi di Monte Carlo nel prossimo capolavoro.


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