Attualità

IN GIUSTIZIA – Il ministro Nordio sui processi infiniti, tra verità ed oblio

di Francesco Da Riva Grechi -


Domenica 25 maggio, ospite di una trasmissione tv, il ministro Nordio risponde sul processo ad Alberto Stasi e se la premessa è sempre il “non voglio parlare di vicende in corso” aggiunge anche altro.
“Trovo irragionevole che dopo una sentenza o due sentenze di assoluzione sia intervenuta una condanna senza nemmeno rifare l’intero processo”. In precedenza, sempre sul caso Garlasco, aveva già affermato: “In linea generale una volta si diceva il tempo è padre di verità, ma molto spesso il tempo è padre di oblio. Quindi più il tempo passa, più è difficile ricostruire un fatto”. Due affermazioni sacrosante alle quali ancorare la prosecuzione del cammino delle riforme già avviato. Peccato quindi che il ministro non abbia svelato i dettagli delle prossime tappe. Inevitabile il riferimento alle lacune del processo penale italiano che, incentrato sul dibattimento e l’acquisizione delle prove in contraddittorio, è del tutto inadeguato nella disciplina delle indagini preliminari, che, oltretutto, nei casi più gravi, risentono in maniera determinante dell’esposizione mediatica di coloro che diventano “protagonisti” di scene troppo distanti dalle aule dove si svolgono le udienze.
Gli accertamenti sui cadaveri, sulle scene dei delitti, la raccolta delle prove scientifiche, DNA, impronte o le analisi dei dati informatici sui dispositivi delle vittime e dei possibili carnefici, devono essere acquisite, e hanno valore in quanto entrano nel processo a ridosso dei fatti, entro giorni o settimane, non più tardi. Soprattutto i primi, accertamenti su cadaveri e scene dei delitti, perdono quasi significato se ritardati. Non ne hanno praticamente alcuno se compiuti o analizzati a distanza di molti anni come nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi.
Tutto questo è essenziale ricordarlo quando le regole del processo penale e anche la razionalità e la ragionevolezza dei giudici, come ha rilevato il ministro della giustizia, sono stravolte dal teatro mediatico. Le prime fasi del processo, oltre alle indagini preliminari, gli accertamenti tecnici preventivi, gli incidenti probatori e soprattutto i giudizi sulle misure cautelari, non hanno una disciplina adeguata alla diffusione mediatica, nè sono funzionali ad un utile svolgimento della successiva fase dibattimentale. Lo stesso continuo chiudersi ed aprirsi degli stessi processi, dopo il passaggio in giudicato delle sentenze definitive, dopo anni ed anni di oblio, rispondono esclusivamente a logiche televisive e massmediali, non alla logica del diritto.
Il fatto, fondamentale protagonista di ogni processo penale, viene stravolto nel circo mediatico e diventa semplice occasionalità di discussioni le più disparate, semplice pretesto per l’apparenza in video dei soggetti più estranei e degli esperti più improbabili.
E, come tutto ormai quando si passa dalla televisione ai social network, da internet alle piattaforme digitali, svanisce in una massa indistinta di umori, emozioni, che alla realtà si riconnettono solo se questa è abbastanza tragica e drammatica da superare le indistinte fantasie che circolano sul web. E così sempre più violenza e sempre più narrazioni sulla violenza, dove le persone fragili, gli anziani e i bambini sono vittime inconsapevoli, senza coscienza, perché senza regole certe, valide ed efficacemente attuate.


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