Whisky, il bicchiere mezzo vuoto: Jack Daniel’s frenato (anche) dai dazi
Il bicchiere è mezzo vuoto, almeno per Jack Daniel’s: gli affari non vanno benissimo per il produttore americano di whisky. Tutt’altro. I numeri, bevuti lisci, rappresentano una realtà che non si può dribblare in nessun modo, nemmeno tracannandone una botte. Brown-Forman, l’azienda del Kentucky che produce il whisky Jack Daniel’s ha dichiarato di aver perso il 5% del fatturato netto sull’anno (pari a circa quattro miliardi di dollari) e ha accusato perdite, sul trimestre, pari al 7 per cento. L’utile netto è tracollato del 15% sull’anno mentre quello dell’ultimo trimestre è letteralmente crollato del 45%. Dati che hanno indotto, già a gennaio, l’azienda a tagliare i costi. È stato licenziato il 12 per cento della forza lavoro globale ed è stata disposta la chiusura della storica fabbrica di botti di Louisville, città natale del Jack Daniel’s. Così facendo i contabili di Brown-Forman puntano a un risparmio annuale stimato tra i 70 e gli ottanta milioni di dollari.
Le ragioni del calo delle vendite, per gli analisti e per i dirigenti dell’azienda, sono chiare. Certo, c’è la “moda” del salutismo che ha allontanato molti consumatori dai superalcolici, in particolare i giovani. Ma, soprattutto, c’è un (grosso) problema. Anzi, due: da un lato ci sono le ristrettezze economiche delle famiglie, che inducono i consumatori a scegliere confezioni più piccole (e dunque meno costose) dei prodotti alcolici, dall’altro ci sono i dazi che hanno colpito anche il whisky. Lawson Whiting, Ceo Brown-Forman, ha le idee chiare e le ha messe sul tavolo durante la teleconferenza con gli analisti stessi: “L’anno fiscale 2025 è stato un anno diverso da qualsiasi altro che abbia visto negli ultimi trent’anni. I consumatori, nei loro portafogli, semplicemente non hanno più tanti soldi. Si spendono soldi per cose come vacanze, alloggi e altre cose simili. Ma poi, quando arrivano alla spesa, penso che in alcuni casi gli alcolici siano stati un po’ esclusi dal carrello”. Ma ad aggravare la situazione c’è l’incertezza sui dazi e sullo scenario economico che verrà: “Sappiamo che è una situazione molto instabile – ha affermato Leanne Cunningham, Cfo dell’azienda -. Nessuno di noi può prevedere cosa succederà”. Quello che, per ora, sembra essere una realtà con la quale fare i conti è il fatto che gli alcolici americani, in Canada, non si vendono più restando fuori dagli scaffali dei supermarket. Un effetto collaterale della “guerra di annessione” scatenata da Trump nei confronti dei vicini del Paese della foglia d’acero. A cui non hanno, evidentemente, reagito benissimo. Così come non reagì benissimo l’azienda, già a marzo, bollando come “peggiore di un dazio” questa scelta.
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