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La nave delle armi e lo strano approdo a Talamone sulla via della morte

di Angelo Vitale -


Già la chiamano la nave della morte. Attesa il 7 luglio nel porto toscano di Talamone, la nave saudita Bahri Abha arriverà a caricare armi in Italia secondo un allarme lanciato dall’Osservatorio The Weapon Watch, un’antenna permanente su quella che è definita una zona grigia, una zona opaca della scena dell’economia nazionale. Lontano dalle luci della cronaca giornaliera, ogni anno – e quindi ogni giorno – il nostro Paese è trampolino per i commerci di armi verso i Paesi più impensati, anche quelli più impresentabili ove si consumano quotidiane violazioni dei diritti umani più fondamentali.

La compagnia saudita Bahri – scrive l’Osservatorio – ha confermato l’arrivo della sua nave a Talamone. E subito i militanti dell’Osservatorio hanno pubblicamente chiesto al governo e a tutte le autorità competewnti di verificare la natura e la portata delle operazioni che la interesserranno. E in particolare se i carichi conterranno esplosivi o materiale militare, se le merci godano di tutte le autorizzazioni necesarie, comprese quelle che indicano le misure di sicurezza da adottare in questi casi.

Non nuova – si afferma – la compagnia saudita ad essere vettore di armamenti e munizioni made in Italy nei porti italiani, da Genova a Cagliari. Dal 2014 a oggi – scrive l’Osservatorio – le banchine italiane sono state luogo di carico e scarico di “materiale militare e munizionamento pesante di fabbricazione nordamericana, destinato alle forze armate saudite ed emiratine impegnate nella guerra in Yemen. Contro questo transito, che viola la legge 185 del 1990 e il trattato internazionale sul commercio di armi convenzionali, hanno ripetutamente protestato i portuali genovesi”.

A Talamone, probabilmente, la nave si manterrà in rada – assente nel porto una banchina utile alla logistica di carichi pesanti – ove le merci arriveranno con chiatte o altre piccole imbarcazioni. Materiale militare il cui mittente l’Osservatorio identifica nel vicino “distretto della Valle del Sacco” ove operano “Simmel Difesa (munizioni navali, da mortaio, al fosforo, cluster bombs, oggi appartenente al gruppo francese Nexter) e Avio (missili tattici e sistemi antimissile, indirettamente controllata da Leonardo); nonché aziende analoghe del “polo Tiburtino” come Mes Meccanica per l’Elettronica e Servomeccanismi (di proprietà della famiglia Maccagnani, già titolare di Simmel). Tutte aziende che hanno tra i loro migliori clienti l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti”.

Una catena logistica, quella con terminale Talamone, avviata 50 anni fa. L’Osservatorio non esita a definirlo “il crocevia di traffici di armamenti di fabbricazione italiana diretti verso Paesi sotto embargo e dove si stavano svolgendo conflitti e gravi violazioni dei diritti umani delle popolazioni civili”.

“Passarono di qui – questo il ricordo – le mine antiuomo della bresciana Valsella, dirette a entrambi i contendenti della guerra Iran-Iraq e al Sudafrica dell’apartheid”. Imbarcate con chiatte sulle navi ancorate al largo. E la storia si ripete.


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