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Non solo Mancini, anche i giovani talenti volano in Arabia

di Giovanni Vasso -


Arabia: mentre l’Italia guarda a Roberto Mancini, il resto del mondo indica Gabri Veiga. La Saudi Pro League, il campionato di calcio dell’Arabia Saudita, fa sul serio. Altro che ultima (e ricchissima) spiaggia per le Gloria Swanson che non si rassegnano a passeggiare sul viale del tramonto delle loro irripetibili carriere. Adesso i talenti più puri e giovani del calcio europeo preferiscono, o comunque scelgono senza problemi, di andarsene a giocare nella lega cara alle ambizioni del principe ereditario di Riyadh, Mohammed bin Salman.

Sembrava destinato al Napoli, tutti pronti a spellarsi le mani all’ennesimo colpo da maestro di Aurelio de Laurentiis. Che sarebbe riuscito a portarsi a Castelvolturno uno dei talenti emergenti del calcio spagnolo, svezzato, al Celta Vigo, da quel vecchio uomo di calcio chiamato Rafa Benitez. Al netto di cosa sia accaduto per far saltare l’ingaggio – e  l’agente del calciatore dice che Adl non ha voluto scucire la clausola rescissoria per intero facendosi così superare dall’Al Ahly -, l’approdo di Gabri Veiga tra le dune saudite rappresenta un colpo d’immagine decisivo al calcio europeo. A 21 anni, quando c’è ancora tutta una carriera da giocare, un’immagine da costruire, trofei da alzare e partite da vincere, prende e se ne va dove altri, come Cristiano Ronaldo per primo, e poi Karim Benzema, Ngolo Kanté, Kalidou Koulibaly e, last but not least, Neymar (e chissà, forse arriverà anche Momo Salah) sono approdati dopo aver consumato gran parte, se non tutta, la loro parabola sportiva.

La notizia ha spiazzato i commentatori. Che tutto si aspettavano fuorché che la Saudi Pro League potesse affascinare anche i giovani. Rafa Benitez, però, ha detto di non scandalizzarsi. Perché, come al solito, è un problema di prospettiva. Quella che manca all’Europa, e non solo sul calcio, da troppi anni. Ma questa è un’altra storia. Benitez ha avvertito: vedete che il campionato saudita non è un cimitero degli elefanti, “è arrivata coi soldi” (come hanno fatto Psg e City?) e “può rappresentare un cambiamento radicale nella nostra vita”. La carriera di Veiga non è già finita. Anche se, piuttosto che dare ascolto ai consigli che Papa Francesco ha dato a lui e alla sua squadra nel corso di una visita in Vaticano a luglio scorso, E ha citato l’esempio di Carrasco, suo calciatore in Cina a vent’anni poi rientrato in Europa “per giocare la Champions League”.

Ma c’è la questione dei soldi, appunto. La pecunia che, quando la incassano gli altri è sempre vile. Accettare il denaro saudita, dal momento che sui social trionfa la narrazione del “calcio di un tempo”, è una macchia, quasi un’infamia. Sicuramente è un martello da brandire. Contro chi se ne va. E qui torniamo ai casi di casa nostra. Cioè a Roberto Mancini. Che avrebbe ricevuto un’offerta da trenta milioni di euro a stagione per allenare la nazionale saudita e farle togliere qualche soddisfazione. “Ecco perché ha lasciato la nazionale”, sibilano gli avversari dello “sceicco azzurro”. Qualcuno dei quali si annida a via Allegri. La Federazione non gliela ha perdonata al Mancio. Passato, in pochi giorni, da salvatore della patria a reietto traditore. Il tema, però, oltre che prettamente economico è politico. Mancini se ne va in mezzo alle dune ad allenare giocatori che, sicuramente, non sono dei campioni. Un po’ come sta succedendo da noi. Lo ha detto anche Luciano Moggi: “Il problema della Nazionale italiana non è il ct ma i giocatori che non sono purtroppo di grande qualità”. Solo che sopportare le sconfitte in Arabia Saudita, con un contratto del genere, è molto più semplice che farlo con la nazionale italiana. In un clima di contrapposizione e di frizione, tra nomine ufficializzate senza condivisione e collaboratori delusi nelle loro aspettative. Insomma, l’Italia, che adora perdersi a rimirarsi l’ombelico, guarda al caso Mancini perché la riguarda direttamente, perché è stato gestito oggettivamente malissimo, e, soprattutto, perché è un tema che mette in discussione l’intero sistema calcio. E l’Italia è quel Paese dove non si sa ancora con certezza chi parteciperà ai campionati di B e di C e in cui i club di A sono praticamente paralizzati, senza liquidità e col rischio di perdere ulteriore appeal a un torneo che non è più quello degli anni ’90, in fatto di campioni e di fascino. Il mondo, intanto, guarda a quello che fa Gabri Veiga. Una scommessa. Che l’Arabia Saudita vuole vincere. A discapito, proprio, dell’Europa.


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