Editoriale

Noi saputelli da democrazia

di Tommaso Cerno -


Noi saputelli da democrazia

di TOMMASO CERNO

Avevamo imparato, da bravi scolaretti della democrazia, la cartina geografica dell’Ucraina. A cena con gli amici, nei torridi giorni d’estate, finivamo per disquisire su Cherson, come se ci fossimo stati in vacanza proprio l’anno prima. Per non parlare del fiume Dnepr, le cui acque limpide diventano torbide proprio là dove lo Zar ha abbattuto quelle fabbriche. Perché noi siamo ucraini e la loro guerra è la nostra. Siamo così, ipocriti e falsi, fino al giorno in cui arriva la nuova guerra. Quella di Israele.

Sempre nel nome della democrazia. Sempre nel nome dell’Occidente e dei suoi valori incontrastati. Una guerra dove di mezzo c’è l’antisemitismo, l’islam, Al Qaeda e l’Isis. Insomma un bell’armamentario da sciorinare nelle più uggiose serate autunnali. E poi c’è questo Joe Biden, quello che disse al mondo che Vladimir Putin è un macellaio, che invece quando si tratta di Hamas e dei bambini sgozzati pesa le parole, fra una caduta dalle scale del palco e l’altra, verso una campagna elettorale che, se nessuno lo fermerà, confermerà un anziano e claudicante comandate in capo di un Occidente in crisi di futuro, idee e identità. E’ proprio così che si perdono le guerre. E’ proprio così che si consegna un secolo di storia ai tempi nuovi.

Svegliandosi una mattina e rendendosi conto che Volodimir Zelensky, la pop star della democrazia globale, non interessa più a nessuno. Che nessuno si collega più con lui in streaming. Che né Cannes né l’Oscar lo reclamano. E che perfino l’alleato americano ha di meglio da fare. Il problema è che non capiamo perché sia successo. Ci ripetiamo che non è vero, anzi che si tratta di una sola guerra e che noi siamo schierati dalla parte giusta. E invece la realtà è un’altra. E molto più semplice: né prima, né adesso la gente normale ha capito cosa stesse succedendo davvero fra Mosca e Kiev. Né prima né adesso c’è stato un piano di intervento che avesse un obiettivo chiaro, fosse esso vincere, trattare o far cadere Putin.

Né prima né adesso in gioco c’erano davvero i valori della democrazia. Ma al contrario interessi economici planetari e una grande partita a scacchi geopolitica. Che è costata cara alle famiglie ucraine, perché morte e distruzione l’hanno vissuta loro, ma pure alle nostre, che si sono impoverite in un momento già difficile e che hanno di fronte un futuro più incerto, costi di vita più alti, l’energia a singhiozzo e la benzina sopra i due euro.

Ma torniamo a noi. I grandi esperti di Chernobyl e della centrale di Zaporizhzhia, oppure Zaporiggia in italiano, o di quel sud-est ucraino che in pochi giorni, dopo vent’anni in cui per noi quel Paese era quello delle badanti, perché aveva ragione Lucia Annunziata, si sono trasformati in esperti di questione israelo-palestinese. E all’aperitivo in centro adesso le parole che vanno per la maggiore sono Hamas, Netanyahu, Abu Mazen. I più spregiudicati si spingono fino a Yasser Arafat, l’ex presidente palestinese che al secolo faceva Muhammad ’Adb al-Rahman ’Abd al-Ra’uf al Qudwa al -Husayni, ma noto ai più anche con lo pseudonimo di Abu Ammar, grande combattente nato al Cairo nel 1929.

E poi c’è Al Qaeda, che tutti conosciamo, c’è Hezbollah, detta anche Hizb Allah, nata nel giugno del 1982, mentre l’Italia si giocava i mondiali che l’11 luglio incoronarono i ragazzi di Bearzot campioni del mondo. Ma questo, noi democratici, lo sappiamo. Mica siamo qui a combattere per un fantasma. Siamo gente che sa in cosa credere.


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