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Attualità

Pensioni 2025: la manovra divisa tra strette e adii

di Priscilla Rucco -


Opzione Donna verso il tramonto

Si chiude un’era nel panorama previdenziale italiano. La manovra di bilancio mette la parola fine a Opzione Donna, lo strumento che per anni ha permesso alle lavoratrici di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro accettando il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. Per chi ha ancora i requisiti, questi sono gli ultimi giorni utili: serve avere almeno 35 anni di contributi, 61 anni di età – riducibili in caso di figli – e trovarsi in una delle condizioni di disagio previste, come licenziamento, status di caregiver o invalidità superiore al 74 per cento.

Il provvedimento lascia invariati i diritti già acquisiti, ma dal 2026 non sarà più possibile accedere alla misura. Una scelta che arriva dopo diverse strette successive e che oggi risulta meno penalizzante rispetto al passato: con il sistema contributivo in vigore dal 1996, sono sempre meno le lavoratrici che hanno anni nel retributivo, rendendo il taglio dell’assegno meno drastico.

L’età pensionabile

Cambiano i tempi dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Invece dell’aumento automatico di tre mesi previsto dal 2027, il governo ha deciso di procedere con maggiore gradualità: un solo mese di incremento nel 2027 e tre mesi complessivi soltanto dal 2028. Una mossa che ammorbidisce l’impatto sui futuri pensionati.

Nel frattempo, per tutto il 2026 rimangono fermi i requisiti attuali: 67 anni di età per la pensione classica, oppure 42 anni e 10 mesi di contributi per quella anticipata, a cui vanno aggiunti tre mesi di finestra mobile. Per le donne il requisito contributivo scende di un anno. Requisiti che, secondo le previsioni, resteranno invariati anche per il prossimo biennio, salvo ulteriori interventi legislativi.

I lavori usuranti

Arriva una stretta significativa sui lavoratori che svolgono attività particolarmente faticose. La manovra riduce dal 2033 il fondo destinato all’anticipo pensionistico per chi è impiegato alla linea catena o nei turni notturni. Si tratta di categorie che hanno sempre potuto contare su requisiti agevolati, considerata la pesantezza delle mansioni svolte.

Attualmente questi lavoratori possono lasciati con 35 anni di contributi e un’età minima che varia in base alla tipologia di attività. Ma le risorse destinate a sostenere queste uscite anticipate verranno progressivamente ridotte, sollevando preoccupazioni sul futuro di chi svolge le professioni usuranti. Una decisione che ha già suscitato le proteste delle opposizioni e dei sindacati, che parlano di un colpo ai diritti conquistati dai lavoratori più esposti.

Previdenza integrativa: stop al cumulo

Cambia anche il calcolo per chi punta al pensionamento anticipato con il sistema interamente contributivo. Fino al 2025 era possibile raggiungere la soglia minima dell’assegno – pari a tre volte l’assegno sociale, circa 1.638 euro lordi mensili nel 2026 – sommando la pensione principale agli importi della previdenza integrativa. Dal primo gennaio questa possibilità non esiste più: conta solo la pensione base.

La modifica riguarda chi vuole andare in pensione tre anni prima dell’età di vecchiaia, quindi a 64 anni nel 2026. Una stretta che penalizza in particolare chi ha investito nella previdenza complementare proprio per raggiungere prima il traguardo della pensione.

TFR e aziende: si allarga la platea

La legge di Bilancio interviene anche sul Trattamento di Fine Rapporto. Aumenta il numero delle imprese obbligate a conferire all’INPS il TFR dei dipendenti che scelgono di non destinarlo alla previdenza integrativa. La soglia si abbassa da 50 a 40 dipendenti: le aziende che superano questa dimensione dovranno versare il TFR al fondo istituito presso l’Inps, rinunciando così a utilizzarlo come strumento di autofinanziamento aziendale.

Una misura che ha un duplice effetto: da un lato garantisce maggiori risorse al sistema previdenziale pubblico, dall’altro riduce la liquidità disponibile per le imprese di medie dimensioni, che spesso utilizzavano il TFR proprio per sostenere investimenti e capitale circolante.

Le regole sulle finestre di uscita e sul riscatto della laurea rimangono invece invariate, così come le principali misure di flessibilità in uscita ancora attive nel sistema previdenziale italiano.


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