Lavoro

“Pensioni più basse a chi vive più a lungo”, è bufera sull’Inps

di Martina Melli -


Pensioni più basse a chi vive più a lungo. Sembrava questa la soluzione implicita nell’ultimo studio Inps. Uno studio che, basandosi su dati e calcolo delle probabilità, ha analizzato la speranza di vita degli italiani divisa per regioni e per categorie professionali. Uno studio che ha subito scatenato interdizione e disappunto e che potrebbe finire sul tavolo del Governo, da tempo a lavoro su una riforma previdenziale.

Secondo l’Inps, il modo in cui oggi vengono calcolate le pensioni è tendenzialmente “ingiusto”, dal momento che non tiene in considerazione fattori decisivi per l’aspettativa di vita, quali reddito, tipo di impiego e regione di residenza. I criteri dietro all’assegno pensionistico infatti sono uguali per tutti, a differenza della professione svolta, dell’eficienza dei servizi sanitari nella propria regione e della genetica, elementi che variano appunto da persona a persona. Il calcolo previdenziale (il cosiddetto coefficiente di trasformazione) varia in base all’età anagrafica del lavoratore nel momento in cui arriva alla pensione, dai 57 ai 71 anni. Maggiore è l’età del lavoratore, più elevati saranno i coefficienti di trasformazione.

Da questo studio è emerso che, per esempio, un ex operaio ha un’aspettativa media di emolumenti per 17,6 anni, mentre un ex dirigente li riceverà in media per 19,7 anni. Altro elemento che incide è il luogo d’appartenenza: le donne più longeve si trovano in Trentino-Alto Adige e hanno un’aspettativa di vita dopo il pensionamento di ben 21,6 anni. Gli uomini che vivono nelle Marche e in Umbria, invece, solo di 18,3 anni.

Su questo, incidono anche (ovviamente) ricchezza e stile di vita: una donna trentina con reddito alto ha una speranza di vita fino a 22,5 anni, mentre una donna siciliana con reddito basso fino a 18,8 anni. Gli uomini che vivono in Campania e in Sicilia sono quelli più svantaggiati: di media, usufruiscono della pensione per 17 anni circa.

Lo studio ha scatenato non poche polemiche. Il deputato Pd ed ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sui propri social, ha condiviso un commento al vetriolo: “I giornali raccontano di uno studio Inps che propone di ridurre le pensioni a quelli che vivono di più, come se fosse una colpa. La ministra del Lavoro e il governo garantiscano subito che quello studio andrà a finire dove merita: nel cestino della spazzatura”.

I sindacati chiedono da tempo di bloccare l’adeguamento dei coefficienti (che vengono aggiornati ogni due anni) alla speranza di vita. Tuttavia, la proposta è stata accolta negativamente anche da alcuni di loro, che l’hanno considerata miope e incompleta.
Così si è espresso in merito il leader della Cgil Maurizio Landini: “Le sembra una cosa intelligente? Una delle cose che stiamo dicendo da molto tempo è che l’aspettativa di vita non è uguale per tutti perché dipende dal lavoro che fai. Si continua a non affrontare il tema dei lavori gravosi e tutto il resto. In più siamo di fronte al fatto che le nuove generazioni sono precarie adesso e non avranno una pensione in futuro perché un sistema puramente contributivo non è in grado di affrontare questo tema”.

Landini ha ribadito come da tempo si stia chiedendo anche di introdurre una pensione di garanzia e di fare una serie di ragionamenti. “La cosa vera è che anche su quel versante, gli incontri che abbiamo fatto sono stati finti perché non hanno la volontà di discutere. Il momento è molto serio e c’è bisogno di avere una visione complessiva”.

Nel polverone di attacchi e ironia, è arrivata la smentita dell’Ente: “L’impegno dell’ Inps è e rimarrà sempre quello di garantire la tutela dei diritti dei cittadini e la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, nel rispetto delle competenze e dei ruoli istituzionali”. La partecipazione attiva dell’ Inps attraverso la formulazione di una proposta di riforma delle pensioni è priva di fondamento, fa sapere l’istituto sottolineando come sia “da sempre impegnato nella raccolta, sistematizzazione e condivisione dei dati relativi alle materie di pertinenza, per offrire al Paese una panoramica fondamentale sulle dinamiche demografiche, sociologiche ed economiche”. I dati raccolti, si legge nella dichiarazione “possono rappresentare una risorsa per l’elaborazione di scelte politiche e amministrative, ma non è nei compiti dell’istituto fare proposte al legislatore in materia di welfare”.


Torna alle notizie in home