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Politica

Prodi a sinistra bacchetta Elly, mentre FdI in Veneto frena il ribellismo Lega

di Ivano Tolettini -


In Italia la politica sembra vivere in una distorsione permanente: la sinistra che parla solo al suo pezzo di mondo e un pezzo del centrodestra che parla troppo al proprio territorio, entrambi incapaci di costruire una visione più ampia.

L’intervista di Romano Prodi e le parole di Elena Donazzan, pur appartenendo a universi opposti, raccontano in fondo la stessa difficoltà: l’incapacità di un campo politico di diventare classe dirigente nel senso pieno del termine.
Prodi, con la sua ironia tagliente, demolisce la nuova infatuazione della sinistra radical per il modello Mamdani. Ricorda che in Italia prendere a prestito il radicalismo americano significa ripetere gli errori di Corbyn e Sanders, senza tenere conto del contesto e senza parlare al ceto medio che decide le elezioni. Per il Professore, la sinistra ha perso il senso del Paese reale: ragiona per minoranze pensanti, non per maggioranze governabili. È un’opposizione che sembra voler educare gli elettori anziché convincerli, che offre slogan e identità prima ancora di offrire soluzioni. E quando la politica diventa pedagogia, il risultato è sempre lo stesso: il governo regge non per meriti propri, ma perché non c’è alternativa. È la diagnosi più severa che Prodi potesse fare a Elly Schlein: una leadership che non parla la lingua del riformismo, ma quella di un progressismo autoreferenziale, incapace di trasformarsi in forza di governo.
E poi c’è il Veneto. Regione forte, saldamente guidata dal centrodestra a trazione leghista (continuerà nella tradizione Alberto Stefani), identitaria, competitiva, ma anche prigioniera della propria narrazione di autosufficienza. Qui Elena Donazzan, europarlamentare di FdI, rompe una sorta di tabù lungo vent’anni. Ammette che il racconto del “noi bravi, Roma non capisce nulla”, costruito nel tempo dalla Lega e dal modello Zaia, oggi non funziona più. La polemica fra Confindustria Veneto e il ministro Urso su Transizione 5.0 è il sintomo di una frattura più profonda. Donazzan invita a cambiare registro: basta ribellismo, basta autosufficienza, serve un rapporto meno muscolare e più strategico con Roma. Perché la competizione non è con il governo italiano, ma con la Cina e con la Germania. E perché un territorio che vuole contare deve avere alleanze, non solitudini glorificate. L’Italia appare così divisa tra una sinistra che teme il riformismo e un Veneto che teme di perdere la sua autonomia narrativa. Due timori opposti che paralizzano entrambi i fronti. E mentre il centrosinistra cerca un leader credibile da opporre a Giorgia Meloni in grado di parlare a tutto il Paese, il centrodestra veneto deve capire se vuole essere locomotiva della coalizione o corpo separato.
In mezzo resta un dato: senza visione nazionale non si governa; senza radicamento territoriale non si vince. Oggi l’Italia manca di entrambe le cose. Prodi e Donazzan, per vie opposte, lo ricordano con una chiarezza che la politica farebbe bene a non ignorare. La sinistra non riesce più a raccontare il futuro, mentre il Veneto rischia di restare prigioniero del proprio passato glorioso. Da tempo il campo largo non ritrova un lessico comprensibile alla maggioranza, mentre il centrodestra veneto non ricalibra il proprio rapporto con Roma.


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