L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Cultura & Spettacolo

50 anni fa, Il battito che cambiò il buio

Il 22 dicembre del 1975, in testa alla hit parade c’erano i Goblin, con un brano “da paura”.

di Andrea Fiore -


È difficile ricordare il momento esatto in cui “Profondo rosso” ha iniziato a far parte della vita di tutti. Se non si è visto il capolavoro di Dario Argento, non c’è un primo ascolto preciso, nessuna scena nitida. Eppure quel tema sembra familiare da sempre, come un’eco che riemerge appena le tastiere iniziano a correre. Basta un attimo e il presente si incrina, lasciando filtrare un brivido antico.

La musica dei Goblin colpisce per la sua immediatezza. Le tastiere avanzano, il basso vibra con un’intensità che si sente nello stomaco, la batteria scandisce un passo che sembra avvicinarsi da qualche parte alle spalle. Non servono parole: il brano costruisce un’atmosfera che avvolge e trascina, con una semplicità che sorprende. È un suono che entra in profondità senza chiedere permesso.

L’estetica che ha cambiato tutto

Il film di Dario Argento amplifica tutto. “Profondo rosso” non resta nella memoria solo per la storia, ma per il modo in cui colpisce i sensi. I colori saturi, le inquadrature geometriche, le ombre che sembrano muoversi da sole: ogni elemento crea un mondo riconoscibile al primo sguardo. Non importa averlo visto nel ’75 per sentirlo vicino. È diventato parte dell’immaginario comune, come un sogno condiviso che continua a riaffiorare.

Pensare a quel brano significa tornare a un’Italia curiosa, pronta a sperimentare. Un periodo in cui il rischio creativo era naturale, tra rock progressivo e sintetizzatori, la musica poteva trasformarsi in un’esperienza fisica. “Profondo rosso” è uno di quei rari incontri in cui film e colonna sonora si fondono fino a diventare un’unica presenza, un’unica vibrazione.

Un’eco che non smette di tornare

E così, ogni volta che le note ricominciano, accade sempre lo stesso fenomeno: un attimo sospeso, un piccolo fremito che attraversa il corpo. Il tempo sembra fermarsi, come se quelle note avessero il potere di richiamare qualcosa che non se n’è mai davvero andato.

“Profondo rosso” non è soltanto un ricordo. È un impulso che continua a tornare, un battito che si riconosce subito, un frammento di memoria collettiva che non smette di vibrare.


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