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Askatasuna sgomberata a Torino: Salis difende lo spazio e parla di “spirito collettivo”

Il centro sociale Askatasuna a Torino viene sgomberato e sigillato. Ilaria Salis commenta sui social, parlando dello “spirito collettivo” dello spazio che continuerà ad ardere.

di Anna Tortora -


Lo sgombero e la normalità che sorprende

A Torino, il centro sociale Askatasuna è stato sgomberato e posti sotto sigillo. Nessun colpo di scena, nessuna manifestazione di piazza di rilievo, nessun proclama di emergenza: semplicemente l’applicazione della legge. Un gesto di normalità che, nella narrativa urbana di certi spazi occupati, sembra un evento straordinario.
Chi conosce le dinamiche cittadine sa che Askatasuna era più di un edificio: era un simbolo, un luogo di attività sociali, una zona “franca” in cui le regole sembravano piegarsi alla retorica della protesta. Eppure, la legge non piega nulla. Non si discute, non si media: si applica. E quando lo fa, vince la comunità, quella silenziosa, che paga affitti, rispetta contratti e percorre le strade senza sentire il bisogno di affermare il proprio diritto ad occupare spazi altrui.
Per gli abitanti della città, lo sgombero è un gesto rassicurante: le regole sono chiare, e valgono per tutti. Per chi ha vissuto di eccezioni, però, diventa immediatamente repressione, aggressione, calunnia e complotto. La normalità, in certi mondi, è sempre un problema.

Salis e la mistica dell’occupazione eterna

E come da copione, arriva la dichiarazione di Ilaria Salis:
“Che vi piaccia o meno, Askatasuna vive nella Torino che lotta dal basso per la giustizia sociale.
Potete anche provare a spegnerlo, a colpi di repressione e sgomberi, a suon di calunnie e propaganda, ma – statene certi – quello spirito collettivo continuerà sempre ad ardere!”
All’improvviso, Askatasuna non è più un edificio, ma uno stato dell’anima. I sigilli diventano simbolici, la chiusura materiale un dettaglio irrilevante. Ciò che conta è lo “spirito collettivo”, fiamma eterna e indomabile, che persiste indipendentemente da leggi, ordinanze o chiavi restituite.
Le parole di Salis tracciano una geografia immaginaria della città: spazi occupati che non esistono più fisicamente, ma continuano a vivere in metafore, slogan e narrazioni. L’occupazione diventa resistenza narrativa, e la legalità, che nel mondo reale è semplice ordine, si trasforma nel racconto in ostacolo da aggirare o da sfidare con ardore.
E così, mentre le porte vengono chiuse, i muri sigillati e gli spazi liberati, nelle narrazioni continua a brillare un fuoco invisibile, che non paga affitti, non rispetta regolamenti condominiali e, sorprendentemente, non ha bisogno di assicurazione contro gli incendi.

Arde lo spirito, restano i sigilli

Lo sgombero segna la chiusura materiale di Askatasuna, ma l’interpretazione simbolica non conosce confini. Lo spazio, nella narrativa di Salis, continua a “vivere” e a “ardere”, ignorando chi applica la legge a trovare un equivalente metafisico da sigillare.
È l’eterna dialettica tra realtà concreta e narrazione ideale: mentre lo Stato interviene e pone ordine sugli immobili, lo spirito collettivo continua a circolare sui social e nei racconti di chi lo sostiene. La legge agisce sulla materia; la metafora brucia nei post.
In altre parole: lo Stato fa il suo mestiere, la legalità torna a essere normale, e il simbolo resiste, come un fuoco da cartolina. Nessuna repressione, nessun complotto: solo una città che cerca di far convivere regole e idee, sigilli e spiriti, realtà e metafore.
E così, tra sigilli tangibili e ardori simbolici, Torino resta Torino, con le sue regole e i suoi racconti.
E se qualcuno sperava di spegnere quella fiamma solo con un lucchetto e qualche sigillo? Beh, come spesso accade, l’incendio resta, ma almeno ora è ufficialmente legale.

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