L'urlo di dolore Assorimap tra bollette alte e concorrenza cinese. A rischio la raccolta rifiuti nelle città
Gli impianti per il riciclo della plastica si sono fermati. E no, non è una protesta. Ma un atto di resa. Ed è quello che, presto, potrebbe accadere a tanti altri comparti dell’industria italiana e, più in generale, quella europea. Attendevano una convocazione al Ministero dell’Ambiente, gli operatori del settore. Una chiamata che non è arrivata. E perciò, impossibilitati ad aspettare ancora di essere ricevuti al Mase, gli operatori hanno deciso di alzare bandiera bianca. E adesso si fa altissimo il rischio di contraccolpi anche sulla raccolta dei rifiuti nelle città, se la situazione non rientrerà in fretta e gli impianti non riapriranno nel più breve tempo possibile.
Ad annunciare lo spegnimento degli impianti, ieri, è stato Walter Regis, presidente di Assorimap, l’associazione nazionale dei riciclatori e rigeneratori di materie plastiche. Una sigla importante, per il comparto, dal momento che può vantare la rappresentanza di circa il 90 per cento delle aziende che popolano la filiera della plastica nell’economia circolare. L’atto, annunciato ieri, non rappresenta una protesta. Su questo Regis è stato estremamente chiaro: “Da oggi fermiamo gli impianti, viste le mancate misure urgenti per salvare il comparto”. Non è uno sciopero o, nel loro caso, una serrata. Tutt’altro. “Dopo anni di sopravvivenza, da oggi fermiamo gli impianti: lo facciamo con senso di responsabilità, consapevoli delle ripercussioni sull’intero Paese”. Ma, Regis, ci tiene a sottolineare un dato che è dirimente: “Continuare a produrre con perdite insostenibili è ormai impossibile”.
Non è una vicenda nuova. È da mesi che gli operatori chiedono un incontro a Pichetto e al Mase. L’ultima volta a settembre scorso. Quando proprio Regis aveva svelato che il comparto si trovava di fronte a una situazione potenzialmente pericolosa. Causata, ancora una volta, dalla concorrenza, violentissima, dei produttori asiatici e cinesi. “Prima la crisi pandemica, poi i costi energia e la concorrenza della produzione di polimeri vergini low cost di provenienza asiatica: da anni le imprese del riciclo meccanico delle plastiche denunciano la crisi”, aveva urlato il presidente Assorimap a settembre. Rimanendo, evidentemente, inascoltato. “Sono passati quasi due mesi dall’ultimo appello al ministro Pichetto Fratin e più di un mese dal tavolo convocato dal ministero dell’Ambiente con la promessa di una nuova convocazione operativa entro i primi di novembre, che ad oggi non è avvenuta – ha affermato Regis –. Quello che denunciavamo non era un vano avvertimento, come non lo è questo annuncio di stop degli impianti. Siamo di fronte a un’emergenza nazionale che non possiamo affrontare da soli”. La situazione, nelle fabbriche, è già al limte del collasso: “I piazzali dei centri di stoccaggio e di selezione sono già stracarichi e ai limiti autorizzativi previsti. Se noi riciclatori smettiamo del tutto di processare i lotti, il sistema di selezione si bloccherà nel giro di qualche settimana. A quel punto, non ci sarà più spazio per conferire la plastica raccolta in modo differenziato dai cittadini”. E sarebbero guai, seri, per tutti.
Assorimap ha poi fornito i numeri del problema. Dal 2021 a oggi, gli utili di esercizio per gli operatori del riciclo della plastica sono letteralmente crollati. Si è passati da 150 milioni ad appena sette milioni nel 2023. La proiezione, va da sé, sembra accompagnare le imprese verso lo spettro degli utili zero già entro quest’anno. Ciò è accaduto a causa dei problemi che affliggono tutta l’economia e l’industria italiana. E che, nel comparto del riciclo della plastica, hanno morso ancora più duro. A cominciare dalla concorrenza cinese che toglie clienti, propensi a comprare, a costi inferiori, plastica “vergine”. Tonnellate e tonnellate di polimeri piazzati a quattro soldi che mettono fuori mercato gli operatori nazionali. Per proseguire, poi, con la questione dell’energia i cui costi, i più alti d’Europa, sono diventati insostenibili. Non solo per le famiglie ma soprattutto per le aziende. Come quelle della plastica da riciclare. Che adesso si fermano. Perché non ne possono più. Sperando che una soluzione si trovi in fretta. E che si trovi una via di fuga per scampare alla morsa a tenaglia che rischia di trasformare tutta l’Italia, anzi tutta l’Europa, in un deserto industriale.