PRIMA PAGINA – C’era una volta lo spread
A Ferragosto, che solo in Italia è festa, il mondo s’è fermato per assistere, in tv, all’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. Erano anni che i leader statunitensi e russi non s’incontravano. Era il momento, quello, più critico dei rapporti tra le due potenze mondiali. A Ferragosto, anche il nostro Paese che già s’è fermato di suo, s’è distratto un attimo dalla grigliatona in giardino per assistere alla stretta di mano tra il leader del mondo libero e quello del Cremlino. Un sorriso, solo in Italia, ha attraversato la mente di tutti. Solo un altro uomo poteva star bene in quella cornice, per quanto fredda. Lo stesso uomo che, a Pratica di Mare, indusse lo stesso Putin e l’allora presidente George W. Bush a stringersi la mano: Silvio Berlusconi.
C’era una volta lo spread
Tutti lo dicono. Qualcuno ci scherza ma, si sa, l’ironia dissimula la realtà. Solo il Cav avrebbe potuto accelerare il riavvicinamento tra Usa e Russia. Forse tutto sarebbe finito prima. Chissà. Fatto sta, però, che a un certo punto, gli italiani, a Berlusconi, volsero le spalle. Accade, di nuovo, in estate. Un’altra estate, quella del 2011. L’estate in cui gli italiani impararono a conoscere il temibile potere dello spread.
Ogni epoca ha le sue superstizioni. Quasi quindici anni fa la gente credeva che se il differenziale tra i bund tedeschi e i titoli di Stato italiano fosse cresciuto troppo, per lo Stato sarebbe stata presto la bancarotta. In realtà, la questione è più complessa di così. Lo spread è un indice di fiducia sul debito sovrano di un Paese commisurato a quello di un altro preso a riferimento di solidità. Rispetto alla Germania, per quanto riguarda l’Italia e i Paesi europei. Berlino, del resto, è pur sempre la grande potenza economica continentale. Le fibrillazioni, quell’anno, scossero i mercati a novembre toccò i 575 punti. Fu una fiammata, la media era intorno ai 250-300. L’Europa, che scontava i postumi della crisi dei mutui subprime, aveva scoperto da pochi mesi che la Grecia aveva barato sui conti e che gravi problemi di finanza pubblica affliggevano pure Portogallo e Irlanda. La Spagna, come l’Italia, ne risentì. Si coniò, in Germania, la locuzione poco simpatica dei Piigs, i paesi porcelli. Solo che, anche in terra tedesca, si condivide l’idea che del maiale non si butti via niente. “Ein gutes Schwein frisst alles”, di un buon maiale si mangia tutto. E andò proprio così mentre, a dispetto di cosa diceva la realtà (sì, i ristoranti “erano pieni” e sicuramente lo erano più di oggi in cui tutto costa molto di più), si preparava la caduta di Berlusconi tra i sorrisini a favor di telecamere di frau Merkel e monsieur Sarkozy. Uno che non s’è mai più ripreso dallo scandalo L’Oreal, trascinando nell’irrilevanza persino il glorioso Ump che fu di Charles de Gaulle, e l’altra che non ha fatto in tempo a uscire dalla vita politica per venir subito scomunicata come la donna che condannò, di fatto, l’Europa alla subalternità economica (e pure politica) nei confronti di Russia e Cina.
Era l’arma finale, ora non lo guarda più nessuno
Lo spread, all’epoca, fu l’arma innestata nelle baionette dei media scatenati che chiedevano, a ogni piè sospinto, che Berlusconi togliesse il disturbo da Palazzo Chigi. I mercati, era evidente, non nutrivano fiducia nell’Italia, occorreva cambiare. Il Cav, esausto e deluso, mollò. Arrivò Monti. E lo spread continuò a salire, per mesi, talora sfiorando quota 600 punti base. Ma lui e il suo governo di tecnici facevano le riforme. Già. Quelle che, anni dopo, hanno mostrato di avere le gambe corte. La spending review, per esempio, che ha spopolato gli uffici della Pa. Che non ha avuto, poi, con chi mettere a terra il Pnrr, per esempio. Ma Monti non risolse granché, anzi il differenziale Bund-Btp continuò a oscillare pericolosamente tra cadute rovinose e supersoniche risalite quasi a sfiorare i 600 punti. A togliere le castagne dal fuoco dovette pensarci Mario Draghi che, da presidente di Bankitalia, s’era inutilmente sgolato per far capire che il debito dell’Italia non era un problema alla vigilia della crisi. Divenuto governatore della Bce, nel luglio del 2012, annunciò il bazooka: “Whatever it takes”.
E oggi?
E la morsa dello spread sparì. Per sempre, o quasi. Dai media. Perché il differenziale è rimasto alto per almeno altri dieci anni e ha raggiunto vette importanti, anche se lontane da quelle vissute dopo Berlusconi e con Monti, anche sotto il governo Draghi (sopra i duecento punti). A un certo punto, però, dello spread non se ne è parlato più. Non vuol dire che i mercati finanziari non lo tengano più in considerazione. Solo che lo spread, in questi turbolenti mesi di guerre, carovita e dazi, non sale più e non si avvicina nemmeno ai cento punti. Ci si sarebbe attesi, dai cultori della solidità dei conti pubblici, della Cassandre di sventura in servizio permanente ed effettivo sulle pagine economiche (e politiche) dei giornali più à la page, almeno un elveziro, un trafiletto, un titolino in 36esima pagina. Ci si sarebbe attesi, da loro, un coerente scatto d’orgoglio: finalmente abbiamo un governo solido, che non fa in tempo a emettere titoli e subito il mercato li polverizza. Insomma, una giusta dose di orgoglio dopo anni di pane duro e maldissimulata (e provincialissima) vergogna a sentirsi italiani. Niente da fare. Lo spread, col governo Meloni, è piombato a 75. Tocca punte di 83. Qualcuno, sognando nostalgico i vecchi tempi, di quando l’Italia “doveva” andare male e magari finire all’asta (giudiziaria) del migliore offerente, storce il naso quando minaccia di avvicinarsi a 100 punti base. Del resto, questo, è pure sempre il Paese che in nome dell’odio all’avversario politico ha saputo appassionarsi al non plus ultra del burocratismo, dedicando interi speciali a temi come la bollinatura.
A Ferragosto, mentre Trump e Putin si stringevano la mano ad Anchorage, in Alaska, lo spread era a 81 punti. E nessuno ha detto nulla. Ma, in fondo, a lui ci hanno pensato tutti. E Silvio, che non è più di questa terra ma appartiene ormai al mondo della verità, una risata (magari doppia) se lo sarà pur regalata.
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